“A trecento anni dall’ultimo, la nostra Chiesa particolare è chiamata a celebrare un nuovo Sinodo Diocesano per essere sempre più una Chiesa partecipata, comunitaria, aperta alla missione, accogliente, gioiosa, pronta ad annunciare in opere e parole la misericordia del Signore.” (Indizione sinodo)
Il 28 Novembre 2020, in epoca covid, si è aperto ufficialmente il XII Sinodo della Diocesi di Cefalù.
Abbiamo avuto occasione in un post del 31 Dicembre 2020 sollevare delle perplessità.
Non vorremo che un’occasione tanto importante, così come auspicato, si trasformasse in momenti assembleari (in presenza o virtuali ) dove per l’ennesima volta si mette in piedi un apparato strutturale – con tanto di temi, slogan, argomenti, relatori, cartelline colorate e badge di ogni tipo, video messaggi, passerelle web – e poi tutto resta come prima.
È ancora vivo il ricordo del Congresso Eucaristico Diocesano del 2005 dove si costruirono eventi mediatici impegnativi anche economicamente ( ricordiamo le gigantografie, i numerosi elegatissimi opuscoli , le varie brochure, il deserto partecipativo della sala del cinema Astra di Cefalù, specie nell’incontro con Mons. Giancarlo Maria Bregantini, mentre si cercava in tutti i modi di riempirla, le hostess, i servizi navetta che collegavano la “ sala convegni” alla cattedrale, etc…) ma che non produssero alcun rinnovamento .
Anzitutto, è importante chiarirsi subito: il Sinodo implica una vera dimensione interiore e spirituale «sinodale», cioè l’autentica attitudine al dialogo, che sottintende un comune punto di partenza: siamo in cammino alla ricerca della verità e nessuno, neanche da posizioni gerarchiche particolari, ha soluzioni in tasca. La “sinodalità” invocata da papa Francesco nel convegno di Firenze dovrà innanzitutto rivitalizzare la valenza culturale del kerygma, coinvolgendo energie, risorse e persone non solo disponibili, ma soprattutto competenti e appassionate ad un cammino di nuova evangelizzazione.
Abbiamo avuto, però, la sensazione, speriamo non vera, che voci critiche e in dissenso con “l’intelligentia clericale” della nostra diocesi siano state messe da parte, perché non in armonia con le progettualità definite puntigliosamente nel “regolamento del sinodo” ( elegante nella forma, nei “ sigilli”) ricco di norme.. articoli .. commi .. parole .. citazioni ricercate per avvalorare le scelte normative … Un testo che non ha niente da invidiare al regolamento di una SPA.
Ci vien da pensare quanto diverso sia dal ” regolamento” che lasciò Gesù ai suoi prima di salire al calvario.
Il Sinodo non può e non deve essere una “convention” di preti o addetti ai lavori, ma l’espressione viva di una Chiesa-comunione in cui si cammina insieme. E per far questo uno degli aspetti che il sinodo dovrebbe tocare è l’abnorme clericalismo che abita la nostra comunità.
“Occorre, … , superare con decisione la piaga del clericalismo. Infatti, l’ascolto e l’uscita dagli stereotipi sono anche un potente antidoto contro il rischio del clericalismo, a cui un’assemblea come questa è inevitabilmente esposta, al di là delle intenzioni di ciascuno di noi. Esso nasce da una visione elitaria ed escludente della vocazione, che interpreta il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire; e ciò conduce a ritenere di appartenere a un gruppo che possiede tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare e di imparare nulla. Il clericalismo è una perversione ed è radice di tanti mali nella Chiesa: di essi dobbiamo chiedere umilmente perdono e soprattutto creare le condizioni perché non si ripetano”. ( Papa Francesco).
Fondamentale è il recupero della credibilità. Non si può essere credibili se la Parola che si annuncia non è “ Parlata con la propria vita”.
Tra gli aspetti che si dovrebbero richiamare è quanto proclamato dai Pastori che parteciparono al Patto delle catacombe il 16 Novembre 1965. Ne ricordiamo alcuni passaggi:
Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II, illuminati sulle mancanze della nostra vita di povertà secondo il Vangelo; ….ci impegniamo a quanto segue:
1) Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende. Cfr. Mt 5,3; 6,33s; 8,20.
2) Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti), nelle insegne di materia preziosa (questi segni devono essere effettivamente evangelici). Cf. Mc 6,9; Mt 10,9s; At 3,6. Né oro né argento.
3) Non possederemo a nostro nome beni immobili, né mobili, né conto in banca, ecc.; e, se fosse necessario averne il possesso, metteremo tutto a nome della diocesi o di opere sociali o caritative. Cf. Mt 6,19-21; Lc 12,33s.
4) Tutte le volte che sarà possibile, affideremo la gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi ad una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli. Cf. Mt 10,8; At. 6,1-7.
5) Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre. Cf. Mt 20,25-28; 23,6-11; Jo 13,12-15.
6) Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (es. banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi). Cf. Lc 13,12-14; 1Cor 9,14-19. Etc…..
Abbiamo invece assistito e continuiamo ad assistere in alcune realtà, in questo momento terribile di pandemia che ha generato e genera nuovi poveri come, accanto ad azioni di facciata, ben pubblicizzati, ci si dimentichi di farsi poveri con i poveri e si sprechi denaro “nell’abbellire” le “mura” del tempio con scelte disgustose e inopportune.
Il Sinodo dovrebbe essere vissuto come una possibilità per vivere una sfida culturale, oggi più urgente che mai; un Sinodo per dialogare non solo ad intra, ma per avanzare insieme nella lettura del nostro tempo e delle sue sfide, cosicché l’annuncio del Vangelo non sia mai separato dalla cultura in cui è chiamato a incarnarsi, facendo attenzione a non ripetere l’errore di pensare alla «cultura» pensando semplicemente alle “intelligentiae” ecclesistiche e agli specialisti del settore, ma valorrizzando una «cultura della strada», una cultura del vissuto quotidiano e reale, che bisogna ascoltare e cui occorre dar voce.
Fondamentale è rimettere a centro la Parola di Dio, spesso marginalizzata da un agire pastorale «sacramentalizzato» e da forme di cristianesimo eccessivamente devozionistico e sentimentalista. Sarebbe interessante iniziare un cammino che porti i cosidetti “laici” ad avere una azione attiva e non solo di ascolto nello spezzare la PAROLA attraverso un itinerario che porti tutto il popolo di Dio all’Omelia Dialogata.
Quante omelie purtroppo sono improvvisate, vuote, ridotte a meri avvisi..etc..
Sarebbe indispensabile una seria riflessione sul ruolo della donna nella Chiesa e sull’accompagnamento di tutte le situazioni esistenziali ferite, oltre il muro di una religiosità legalista che «scaglia pietre» e oscura la fede che si fa compagna solidale con l’umano.
Sarebbe bello se da questo cammino sinodale emergessero delle proposte, e non idee astratte per un sinodo perfetto, che interroghino le proprie difficoltà e le proprie speranze. Sarebbe bello se il nostro pastore, i preti, i religiosi si facessero compagni attenti e discreti di questo sapienziale cammino di discernimento, offrendo il prezioso contributo di uno sguardo «altro» che, nella sua diversità, non si contrappone ma si completa con l’altro.
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