Abbiamo visto con commozione, ieri sera, sui RAI 3, nella trasmissione “Le Parole della settimana”, la narrazione di Massimo Gramellini sull’esecuzione di Lysa Montgomery, giustiziata con un’iniezione letale nel Federal Correctional Complex di Terre Haute, Indiana, e dichiarata morta durante la notte tra martedì e mercoledì all’1.31
Questa l’ipocrita comunicazione, “raffinata” nello stile, con la quale veniva comunicata a Lisa Montgomery che sar
ebbe stata uccisa con iniezione letale:
“Cara miss Montgomery la data della sua esecuzione è stata fissata per il 23 di Gennaio tramite inezione letale. Cordiali saluti”
“Chi uccide un uomo uccide un mondo e chi salva un uomo salva un mondo.” Così si esprime la Mishnà nel trattato Sanhedrin 4,5.
“Nessuno può essere ucciso e privato dell’opportunità di abbracciare nuovamente la comunità che ha ferito e fatto soffrire”. La pena è “una grave violazione del diritto alla vita di ogni persona”. ( Papa Francesco )
Nelle prime ore del mattino del 16 gennaio è stata eseguita la terza delle tre condanne alla pena capitale programmate negli ultimi giorni della presidenza Trump. Dopo Lisa Montgomery e Corey Johnson, è stato messo a morte con l’iniezione letale anche Dustin Higgs.
Le tre esecuzioni hanno avuto luogo nonostante i ricorsi presentati dalla difesa dei tre condannati a morte, sempre respinti a stretta maggioranza dalla Corte suprema federale, riguardanti l’infermità mentale di Montgomery e Johnson, l’innocenza di Higgs e le condizioni di salute degli ultimi due, positivi al coronavirus.
Con queste tre esecuzioni l’amministrazione Trump ha battuto ogni record: 13 esecuzioni federali in soli sette mesi.
Il presidente eletto Joe Biden ha annunciato l’intenzione di abolire la pena di morte nella giurisdizione federale. Il Congresso è pronto a esaminare un progetto di legge in tal senso.
Lisa Montgomery era l’unica donna nel braccio della morte e la prima donna a essere giustiziata dal governo federale Usa dal 1953. Era stata condannata a morte nel 2008 da una giuria del Missouri per l’omicidio, avvenuto nel 2004, di una donna incinta otto mesi e per il rapimento del feto.
L’ESECUZIONE È ARRIVATA dopo un’intensa battaglia giudiziaria che si è svolta in più Stati. Martedì in Indiana il giudice federale Patrick aveva concesso a Montgomery una sospensione, poche ore prima che avvenisse, per farla sottoporre a un’udienza di competenza, chiesta dai suoi avvocati e volta a dimostrare come la sua grave malattia mentale l’avrebbe resa non ammissibile alla pena di morte.
LA SENTENZA è stata poi annullata dalla corte d’appello di Chicago che ha aperto la strada all’esecuzione. In una sentenza separata una corte d’appello a Washington, DC, ha bloccato l’esecuzione per dare tempo alle udienze sul fatto che il Dipartimento di Giustizia aveva dato un preavviso insufficiente su la data di esecuzione di Montgomery.
Il Dipartimento di Giustizia ha contestato la sentenza. Lotte legali e decisioni sono continuate in più Stati per tutto martedì, fin ché una sentenza a mezzanotte della Corte Suprema ha consentito all’Ufficio federale delle prigioni di procedere con il piano per porre fine alla vita di Montgomery.
Gli avvocati della donna hanno anche presentato una petizione di clemenza chiedendo a Trump di commutare la sua condanna in ergastolo, senza alcun risultato.
La storia personale di questa donna è raccapricciante in ogni suo dettaglio, raccontato dalla sorella maggiore, Mattingly, con cui aveva vissuto fino a quando aveva quattro anni: erano entrambe sottoposte ad abusi fisici, psicologici e sessuali da parte della madre e dei suoi fidanzati, mentre il padre biologico delle bambine non aveva contatti con le figlie.
ALL’ETÀ DI OTTO ANNI la sorella maggiore era stata messa in affido e poi adottata da un’altra famiglia, mentre Lisa era rimasta in quella situazione degradata, dove ha sviluppato una seria instabilità mentale mai curata.
Con questo background Lisa Montgomery è diventata l’undicesimo condannato a morte federale a essere giustiziato dall’amministrazione Trump, che vanta tra i propri record quello di aver ripreso le esecuzioni federali dopo un’interruzione di 17 anni.
L’ultima donna ad essere giustiziata in Usa era stata Bonnie Heady, nel 1953 in una camera a gas del Missouri. Insieme al marito Carl Hall, anche lui condannato a morte, rapì a scuola il figlio di sei anni di un ricco imprenditore, lo uccise e chiese quello che allora fu il più grande riscatto nella storia americana: 600.000 mila dollari, l’equivalente oggi di oltre 5 milioni di dollari. Trump aveva già supervisionato 10 esecuzioni, rifiutandosi di bloccare le tre restanti nonostante la consueta ‘tregua’ nel periodo di transizione: se verranno portate a termine, sarà il presidente che ne ha collezionato di più in oltre un secolo.
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