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Vangelo del giorno
Venerdì 22 Novembre 2024

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.
(Lc 19,45-48) 

Bibbia – CEI 2008
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Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

In questo post una riflessione di Gilberto Borghi [ pubblicata su www.vinonuovo.it ] nella quale si  sottolinea come il movimento etico essenziale del cristiano è quello dell’abbandono di sé nelle mani del Padre

Ora che l’accordo tra stato e chiesa sembra essere fatto, per ricominciare a celebrare la messa col popolo, diventa interessante riflettere a bocce più ferme su come il digiuno eucaristico è stato inteso. In queste settimane ho letto tante riflessioni.

Chi lo ha guardato dal punto di vista politico dei rapporti di forza tra stato e Chiesa; chi lo ha guardato dal punto di vista ecclesiologico del rapporto tra sacerdote e comunità; altri sul piano spirituale per mostrarne la necessità; altri ancora sul piano economico per la mancanza del “gettito” delle questue (poi però ha giustificato la necessità eucaristica dicendo che la vita dell’anima è più importante di quella del corpo); infine chi lo lo ha rifiutato per motivi teologici.

Pochissimi accenni, invece, ho trovato dal punto di vista etico, cioè di un tentativo di rispondere direttamente alla domanda se per un cristiano fosse più giusto rinunciare all’eucarestia per il bene comune, o accettare di mettere a rischio il bene comune per poter avere l’eucarestia. Qualcuno si è addentrato su questa strada, ma utilizzando un’etica filosofica, attraverso l’applicazione del principio di precauzione o di quello di proporzionalità. Nessuno, invece, per quello che ho potuto vedere io, ha provato ad affrontare questa stessa domanda utilizzando l’etica evangelica, cioè fondata sulla costruzione della moralità che Gesù Cristo ha indicato.

Mi sono fatto convinto infatti che, per il cristiano, sarebbe stato assolutamente prioritario affrontare il problema proprio chiedendosi cosa avrebbe fatto Gesù Cristo, e, soprattutto, cosa realmente ha fatto e detto. E mi colpisce come autorevoli voci cristiane, anche di vescovi e cardinali, non sembra si siano posti da questo punto di vista, di fronte al problema. Le posizioni più moderate che si sono palesate, sostenevano la necessità dell’eucarestia per poter tenere in piedi la vita cristiana. Tradotto: per amare come Dio vuole devo potermi nutrirmi spiritualmente. Ora a me sembra che questo principio sia sicuramente di buon senso, sia sicuramente effetto di una buona etica filosofica. Ma dubito che sia in linea con la radice etica profonda del vangelo.

Gesù Cristo molto spesso sembra indicare una sorta di principio rovescio: per potermi nutrire spiritualmente devo amare come Dio. Tutte le indicazioni etiche evangeliche vanno nella direzione del dono di sé come fonte di vita: Mt 5,43; Mt 22,37; Mc 12,29; Lc 10,26; Lc 18,19; Gv 13,34; Rm 6, 13; 12,1 e 13,8; Gal 5,14; 2 Cor 8,5 e 9,7; 1 Pt 1,22; Gc 2,8; 1 Gv 2,10; 3,11; 4,7 e 4,20. Non chiedo di leggere queste citazioni, ma voglio solo evidenziare che non si tratta di un qualche passo sporadico nel Nuovo Testamento, ma della sua colonna sonora etica di fondo. E al di là delle parole, il comportamento di Gesù Cristo è ancora più eloquente. Lui, che poteva starsene beatamente a nutrirsi del Padre, nel seno della Trinità, accetta di distanziarsi dalla sua sorgente spirituale, per amore degli uomini. E il culmine di questo movimento di amore arriva al dono della propria vita, proprio la dove Egli sperimenta l’impossibilità di accedere ancora alla sua sorgente spirituale: “Dio lo ha fatto  peccato” (2 Cor 5,21) e “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” (Mc 15,34).

A dire che il movimento etico essenziale del cristiano è quello dell’abbandono di sé, gradualmente totale, fino anche al dono della propria vita, o in termini esistenziali, o in termini fisici. Ci viene, cioè, chiesto di muoverci verso una condizione in cui non siamo più noi che abbiamo bisogno di Dio, che lo pretendiamo per noi,  fosse pure per poter fare del bene. Ma verso una traguardo in cui Dio ha bisogno di noi e per il suo amore noi sentiamo che possiamo cedere a Lui davvero tutto, anche il controllo della nostra vita spirituale. A Maddalena, quella domenica mattina Gesù dice: “Non mi trattenere” (Gv 20,17), cioè non pretendere di potermi utilizzare per te. Sul piano etico perciò, per un cristiano, l’accettazione della rinuncia a potersi nutrire di Dio, per amore dei fratelli, ha più valore della pretesa di poter utilizzare Dio per la propria vita spirituale. Forse, quella di Paolo non è solo una iperbole letteraria: “Vorrei essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli” (Rm 9,3)

Ordinariamente le due cose non entrano in conflitto. Nutrirsi di Dio è “sostegno” per amare come Dio. Ma quello che ci dà direzione etica, che ci segnala verso dove andare, non è nutrirsi di Dio, ma amare come Lui. L’offerta della propria vita al padre non è riservata ai cristiani santi e maturi, coloro cioè che si sono nutriti molto di Dio. È, invece, la tensione ordinaria di tutti i battezzati, a cui viene chiesto di passare da una fede in cui Dio ci serve ad una fede in cui noi serviamo totalmente Lui.

Forse, allora, in questa ottica il digiuno eucaristico non è stato qualcosa che ci è stato imposto al di là della volontà di Dio, una legge, cioè, che è sfuggita alle mani di Dio, che non è più sotto il suo dominio. Al contrario è stata la richiesta di Dio di verificare dentro di noi, quanto ci serviamo di Lui per stare in piedi e quanto, invece, siamo disposti a perdere noi stessi, fino anche a poter avere l’impressione di non poter più accedere a Lui, per nutrirsi di Lui. “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà (Gv 12, 24.26).

Perché deve valere solo per il singolo e non per la comunità intera?

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