Tratto dal ” Messagero” di Martedì 13 Gennaio
La crisi è evidente se si pensa che il trenta per cento dei fedeli non ritiene necessari i confessori e il dieci per cento li ritiene un impedimento al dialogo con il Signore, il 20 poi ha difficoltà a parlare di propri peccati a un’altra persona. Questi dati, gli ultimi disponibili, risalgono a una ricerca della università cattolica datata 1998 e in un decennio la situazione è peggiorata. «La crisi è preoccupante – spiega Girotti che pur essendo impegnato come reggente non rinuncia a servire in confessionale – la riforma del concilio Vaticano II ha riguardato il rito, ma sembra che non sia riuscita a ridare vitalità né alla comprensione teologica né alla fede di questo sacramento, anche se non sono mancati gli sforzi da parte di più conferenze episcopali».
La vera causa, sta nella «perdita del senso del peccato», e questo spinge la Penitenzieria a cercare rimedi pastorali. Innanzitutto la formazione dei confessori, che devono avere «prudenza, pazienza, saggezza e mitezza». Non c’è una regola che valga per tutte le situazione e il sacerdote deve partire dalla «libertà» del fedele.
«La confessione deve essere spontanea – raccomanda mons. Girotti -. Se si intravede che il penitente vorrebbe dire di più ma non riesce lo si può aiutare con domande, sempre con tatto e nel rispetto della privacy: bisogna accoglierlo, ridargli la pace e fargli riavere la gioia di vivere, nella consapevolezza della misericordia di Dio».
Le penitenze devono essere pertinenti al peccato e valutare la situazione del fedele: mai metterlo in difficoltà. Per esempio la penitenza per chi ruba o non paga le tasse deve bilanciare l’esigenza di restituire in qualche modo ai singoli o alla società ciò che si è sottratto, con quella di non mettere il penitente in condizione di essere individuato. Per chi ha commesso o praticato un aborto si tratta di individuare atti in favore della vita, come opere di beneficenza o aiuto a chi soffre.
La confessione collettiva invece, precisa il reggente, è ammessa solo in casi particolari, per esempio per l’afflusso di molti fedeli in caso di celebrazioni particolari. Ma il confessore è un po’ uno psicologo dell’anima? «No davvero – rimarca mons. Girotti – la psicologia è portata a giustificare e cercare attenuanti, mentre il senso di colpa resta». E per convincere i cattolici del valore di questo sacramento bisogna far leva sul «desiderio di comunione con Dio, che può avere solo chi ha la coscienza tranquilla».
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