Ho letto con attenzione la “ denuncia “ di Angelo Di Giorgi, pubblicata su un giornale locale e che qui, per correttezza, riporto:
” Papa Francesco informato delle anomalie Castelbuonesi”
I governatori e i confrati che hanno vissuto delle situazioni incresciose e sconcertanti, per non dire scandalose, sappiano che Papa Francesco è stato informato di tutto: della condotta anomala di certi preti affetti di protagonismo e narcisismo che inseguono delle paparazzate spettacolari.
Quando il polverone della spettacolarità si sarà depositato apparirà la nuda e cruda realtà.
È stato anche informato della condotta anomala del vescovo Manzella e del ricco carteggio di proteste dei fedeli rimaste senza risposta.
II Papa bolla simili pastori con una metafora: II Pastore che si isola, non e un vero pastore di pecore, ma un parrucchiere di pecore che passa il suo tempo a mettere i bigodini, invece di andare a cercare le altre pecore.
Dispiace che questi parrucchieri facciano concorrenza ai veri parrucchieri.
Quando il Papa parla ascoltatelo con attenzione; a volte parla per metafora, altre volte tagliente.
Quando dice che i pastori devono sentire l’odore delle pecore, Papa Francesco sa che certi pastori all’odore delle pecore preferiscono altri odori associati alla prepotenza e alla sopraffazione, retaggio di altre culture.
Quando il papa condanna il carrierismo, sa che molte nomine ecclesiastiche sono state fatte col sistema clientelare, amici degli amici hanno fatto carriera, così sono stati nominati in certi incarichi persone non all’altezza di tale compito, con i danni che sono sotto i vostri occhi. Soggetti sedotti con la prospettiva della carriera, la lusinga del successo e i compromessi con lo spirito del mondo, trasformandoli in funzionari, chierici di Stato, preoccupati pia di se stessi, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del popolo di Dio.
Spesso critichiamo i politici, forse è ora di fare pulizia all’interno della Chiesa, di questo Papa Francesco ne consapevole.
Quando Papa Francesco doveva presentarsi in pubblico la prima volta un cardinale aveva preparato qualcosa di sontuoso, Papa Francesco lo dissuase e lo fulminò con una battuta: Eminenza lasci perdere, carnevale a finito. Quanta umiltà in questo atteggiamento!
Questo fatto ci richiama a non trasformare certe manifestazioni religiose del mese di marzo e del mese di giugno in un secondo carnevale, con esaltanti aspetti folcloristici estranei allo spirito religioso. La fede esige sobrietà e umiltà, i comizi lasciamoli fare ai politici che sono pia bravi.
Bisogna andare dritti all’essenziale, dice Papa Francesco, altrimenti si rischia di volgere al ridicolo una missione santa. Poiché cedere alla mondanità spirituale, ad una certa borghesia dello spirito e della vita espone soprattutto i Pastori al ridicolo.
E’ scandaloso che certe celebrazioni religiose, anziché esaltare i santi e il Santissimo Sacramento, esaltino i protagonisti organizzatori di tali celebrazioni, chiusi nei loro esclusivismi per obbedire ai loro disegni umani e autoreferenziali, situazioni “dettate dall’egoismo, dalla dimensione disumana del potere, dalla possibilità di acquisire consenso, dal piacere, non dall’amore” (Papa Francesco). “II risultato a che al Dio vivente vengono sostituiti idoli umani e passeggeri, che offrono l’ebbrezza di un momento di libertà. Quando l’uomo vuole affermare se stesso, chiudendosi nel proprio egoismo e mettendosi al posto di Dio, finisce per seminare morte” (Papa Francesco).
Spero che nella prossima pubblicazione dell’elenco telefonico inseriscano l’indirizzo di dove abita l’umiltà che è perso.
Padre Pio diceva che l’umiltà santifica le persone, la carità li glorifica. Spesso esaltiamo le virtù dei santi, ma raramente ne imitiamo l’esempio.
Un giornalista un giorno disse a Papa Francesco che molta gente dice di credere in Dio, ma non nei preti. La risposta fu di una semplicità disarmante: “è giusto, molti di noi preti non meritiamo che si creda in noi“.
Nel Vangelo si parla del pastore che lascia le 99 pecorelle per cercare quella smarrita. Ma oggi, ha constatato papa Francesco, che ne abbiamo una e ci mancano le 99, non ci basta una pecora sicura dentro il mio recinto, tranquilli, per pettinarla, no dobbiamo andare a cercare quelle smarrite. Noi siamo, spatori e non pettinatori.
Uno dei nodi da sciogliere è la subcultura diffusa nelle mentalità clericale, di accogliere in profondità il messaggio evangelico, che trova in Papa Francesco l’alfiere di questo messaggio. ( Angelo Di Giorgi )
Tutta la lettera ( ben lontana da quanto proclamato in Mt 15,15+ “ Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.”) sembra pervasa da rabbia, invidia ….
Come non ricordare ” Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. ” (Ef 4, 29-)
Tanti i richiami all’autenticità di essere pastori.
Ci sono noti i testi soprattutto di Geremia ( cap. 10, 12,22,23,25, 30 ) Ezechiele ( cap 34 etc.. ) ma a nessuno è stato dato il diritto del giudizio. Non lo ha avuto neppure Gesù, mandato solo per salvare, per fermare il Padre che vuole tagliare il fico sterile ( aspetta un altro anno, forse zappando attorno, concimando … porterà frutto )
Nessuno può sostituirsi a Dio nel cammino ( che è santo e intriso di peccato assieme ) che la sua sposa fa per raggiungere la Gerusalemme celeste. A ciascuno la Parola da un solo compito: vivere nella gioia la dimensione di essere “ servo inutile”
L’invidia è il disgusto per il bene altrui ed è di casa pure nel mondo clericale: quel prete fa meglio di me, predica meglio di me, ha più seguito di me. E sorge così il disagio, la critica, la maldicenza. L’invidia è purtroppo un peccato molto comune e sottile, non palese come la fornicazione e l’adulterio; però inquina, è una specie di veleno che, quando entra in una comunità, la rovina.
Ricordo due esempi terribili. Secondo i vangeli della passione, Pilato capiva che gli avevano consegnato Gesù per invidia, perché faceva troppi miracoli, aveva troppo successo, parlava meglio di molti altri. Perfino un pagano come lui intuisce che si tratta di invidia. Il secondo esempio è la morte di Pietro a Roma. I documenti antichi sul martirio dell’apostolo sembrano indicare che fu denunciato alle autorità pagane per invidia di alcuni dei suoi.
Del resto in ciascuno di noi scatta questo sentimento, quando vediamo un altro più lodato e più ammirato. Siamo fatti così, è la nostra debolezza; il rischio è che può portare a maldicenze. a calunnie, a denunciare l’altro, a parlarne male.
La calunnia, conseguenza diretta dell’invidia, inquina la comunione, in quanto è capace di creare sospetto e paura. Molti santi sono stati vittime della calunnia. Ricordo almeno il fondatore dei Missionari del Sacro Cuore, Daniele Comboni, recentemente dichiarato santo da Papa Giovanni Paolo II. Fu il primo arcivescovo dell’Africa centrale e ha dato inizio all’evangelizzazione di quel continente. Uomo di grandissime vedute e di un coraggio straordinario, incorse in gravi calunnie: di nutrire un affetto disordinato per una suora, di aver usato illegittimamente il denaro ricevuto per le elemosine e di altri comportamenti riprovevoli. ( Car. Carlo Maria Martini )
Dice San Francesco nell’ammonizione VIII
Evitare il peccato d’invidia. Dice l’apostolo: nessuno può dire: Signore Gesù, se non nello Spirito Santo. E: Non c’è chi faccia il bene, non ve n’è nemmeno uno. Chiunque dunque invidia suo fratello per il bene che il Signore dice e fa in lui, commette peccato di bestemmia, perché invidia lo stesso Altissimo che dice e fa ogni bene.
Mai Francesco ebbe a puntare il dito: se vedeva qualcosa che non andava si interrogava dicendo “ cosa ho fatto io perché oggi nella Chiesa sta succedendo questo ??!! “
«L’invidia, dice S. Agostino, è odio della felicità altrui»; Aristotile chiama l’invidia l’antagonista della prosperità.
«L’invidia, predicava il Bossuet, è la più vile, la più odiosa e la più screditata delle passioni; ma forse la più comune e tale che poche anime ne sono del tutto immuni. Gli uomini pretendono di essere delicati ed il nostro amor proprio ci gonfia talmente agli occhi nostri, che la più piccola contraddizione ci sembra un attentato contro la nostra dignità e felicità e la minima scalfittura ci fa imbronciare. …. Gli scribi e i farisei non potevano soffrire Gesù Cristo né la purezza della sua dottrina, né l’innocente semplicità della sua vita e della sua condotta, perché erano un rimprovero tacito, ma potente, contro l’ipocrita loro invidia e il sordido loro orgoglio»
«O invidia, esclama il Nazianzeno, tu sei la più giusta e la più ingiusta insieme delle passioni! Ingiusta sì, perché rattristi ingiustamente gli innocenti; ma giusta ancora, perché punisci i colpevoli. Ingiusta, perché metti a disagio tutto il genere umano; ma sommamente giusta, perché produci prima di tutto i maligni tuoi frutti nel cuore dove sei allignata»
San Giovanni Crisostomo: «L’invidia fa sempre da carnefice col suo proprio autore: irrita i sensi, tormenta lo spirito, corrompe il cuore. …. »
«Gli invidiosi, dice ancora S. Giovanni Crisostomo, sono peggiori dei leoni; simili, e starei per dire, più malvagi dei demoni. Infatti i leoni ci assaltano solo quando sono spinti dalla fame o si vedono provocati, mentre gli invidiosi, vi mordono proprio quando la vostra mano con favori li accarezza, vi perseguitano e dilacerano quando li beneficate»
Cambia il nostro cuore, Signore, perché siamo noi i primi ad avere bisogno di un cuore pacifico.
Purificaci, per il mistero pasquale del tuo Figlio, da ogni fermento di ostilità, di partigianeria, di partito preso; purificaci da ogni antipatia, da ogni pregiudizio, da ogni desiderio di primeggiare.
Facci comprendere, o Padre, il senso profondo di una preghiera vera di pace, di una preghiera di intercessione e di espiazione simile a quella di Gesù su Gerusalemme. Preghiera di intercessione che ci renda capaci di non prendere posizione nei conflitti, ma di entrare nel cuore delle situazioni insanabili diventando solidali con entrambe le parti in contesa, pregando per l’una e per l’altra.
Noi vogliamo abbracciare con amore tutte le parti in causa, fiduciosi soltanto nella tua divina potenza.
Se noi preghiamo perché tu dia vittoria all’uno o all’altro, questa preghiera tu non l’ascolti; se ci mettiamo a giudicare l’uno o l’altro, la nostra supplica tu non l’ascolti.
Manda il tuo santo Spirito su di noi per convertirci a te!
Non ci illudiamo di superare le nostre inquietudini interiori, i rancori che ci portiamo dentro verso un popolo o verso un altro se non lasciamo spazio allo Spirito di gioia e di pace che vuole pregare in noi con gemiti inenarrabili.
E’ lo Spirito che ci fa accogliere quella pace che sorpassa ogni nostra veduta e diventa decisione ferma e seria di amare tutti i nostri fratelli, in modo che la fiamma della pace risieda nei nostri cuori e nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità e si irradi misteriosamente sul mondo intero sospingendo tutti verso una piena comunione di pace.
E’ lo Spirito che ci aiuta a penetrare nella contemplazione del tuo Figlio crocifisso e morto sulla croce per fare di tutti un popolo solo. …. ( Card. Carlo Maria Martini )
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