Intervista con Leonardo Boff, l’ex francescano e teologo della liberazione
«Tre settimane prima dell’elezione di Bergoglio avevo scritto su Twitter: il futuro Papa sarà Francesco, perché come fece il santo di Assisi serve chi ricostruisca la Chiesa che ha perduto la sua credibilità…».
Leonardo Boff non porta più il saio, dopo i contrasti con Roma per le sue posizioni teologiche ha lasciato l’ordine francescano e si è sposato. Ma la barba, bianchissima, è rimasta la stessa di quando era frate.
L’ha stupita l’accoglienza che la folla di Rio de Janeiro per Francesco?
«No, è un entusiasmo dovuto alla sua semplicità, al suo venire senza un grande apparato di sicurezza, al suo voler percorrere le strade della città in una macchina semplice e con i finestrini sempre aperti, al suo farsi raggiungere e toccare dalla gente, al suo fermarsi a baciare i bambini. Si vede che è un pastore, un vescovo che sta in mezzo al suo popolo. Non un monarca».
Francesco ha voluto cominciare il viaggio con una visita al santuario di Aparecida. Perché?
«Perché qui nel 2007 i vescovi latinoamericani hanno pubblicato un documento che ridà spazio ai poveri e afferma che certi metodi di evangelizzazione sono vecchi e vanno cambiati. Servono pastori che abbiano l’odore delle pecore più che il profumo dei fiori dell’altare».
Francesco mostra di avere una grande devozione mariana e una grande attenzione alla pietà popolare. Non sembrano aspetti così vicini alla sensibilità progressista…
«E invece lo sono, sono vicini alla teologia della liberazione. In Argentina questa si è sviluppata particolarmente come teologia del popolo, portata avanti dal gesuita Juan Carlos Scannone, che è stato insegnante di Bergoglio. Il Papa è vicino a questa teologia. Non è una devozione popolare “pietistica”, ma una devozione che conserva l’identità del popolo e s’impegna per la giustizia sociale».
Il Papa parla spesso dei poveri e all’ospedale di Rio ha ripetuto che andare verso i poveri significa toccare «la carne di Cristo». Che cosa significa?
«Il povero è il vero rappresentante di Cristo, in un certo senso il povero è il vero “Papa”, e Cristo continua a essere crocifisso nel corpo dei condannati della terra. Cristo è crocifisso nei crocifissi della storia».
Che cosa cambia nella Chiesa con Papa Francesco?
«Credo che cambierà parecchio. Francesco non sta riformando solo Curia, sta riformando il papato. La sua insistenza sull’essere vescovo di Roma, l’aver lasciato il palazzo per abitare nella residenza Santa Marta, significa andare verso il mondo. Il Papa spiega che preferisce una Chiesa incidentata ma che va per strada, piuttosto che una Chiesa asfittica e chiusa nel tempio. Ora si sente che la Chiesa è un focolare di speranza e non una fortezza assediata sempre in polemica con la modernità o una dogana che controlla e regola la fede invece di facilitarla».
C’è chi critica Francesco dicendo che sta desacralizzando il papato…
«No, non lo sta desacralizzando, lo presenta nella sua vera dimensione evangelica. È il successore di Pietro e Pietro era un semplice pescatore. Bisogna combattere la “papolatria” che abbiamo visto negli ultimi decenni. I cardinali non sono prìncipi della Chiesa, ma servitori del popolo di Dio. I vescovi devono partecipare alla vita della gente. E il Papa non si sente un monarca: anche di fronte alla presidente del Brasile ha detto: “Vengo qui come vescovo di Roma”, cioè come colui che presiede la Chiesa nella carità e non nel diritto canonico».
Che cosa provocherà in Brasile e in America Latina un Papa latinoamericano?
«Credo che Francesco si renda conto che il potere deve ascoltare i poveri, deve ascoltare i giovani che protestano per strada. La sua insistenza sulla giustizia sociale può aiutare le democrazie latinoamericane e favorire maggiore partecipazione. La nostra in Brasile è una democrazia a bassa intensità: il Papa chiama i politici a essere veri servitori del popolo».
Si è pentito di aver lasciato il saio francescano?
«No perché ho lasciato l’abito ma ho conservato lo spirito e continuo a sentirmi francescano: lavoro per la salvaguardia del creato e perché su questa nostra terra ci si senta tutti fratelli e sorelle».
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