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Vangelo del giorno
Sabato 23 Novembre 2024

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

(Lc. 20,27-40) 

Bibbia – CEI 2008
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Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Bergogliowww.ilconfronto.comJorge Mario Bergoglio è il 266 Papa, il primo pontefice sudamericano della storia.

Il nome scelto, Francesco , è indicazione e speranza perchè si colmi la voragine tra la Chiesa e i poveri.

Argentino, ma di origini Italiane ( Piemontese, figlio di un ferroviere Astigiano ),gesuita, sicuramente non tra i favoriti dai vari ” toto-papa” è stato eletto al 5° scrutinio, dopo essere stato 2° nel concistoro che scelse Papa Benedetto XVI.

Si è presentato con semplicità a una piazza S. Pietro gremita come non mai, calamitando la simpatia della folla quando ha detto : “Sono andati a prendere un Papa alla fine del mondo
Le prime parole: “Buonasera“…”Preghiamo per Benedetto XVI…” Ancora la richiesta, corrisposta, di una breve pausa di silenzio per una preghiera corale di tutta la piazza. Poi il saluto: “Ci vediamo presto, domani voglio andare a pregare la Madonna per tutta Roma. Buona notte e buon riposo.“

La biografia

Il nuovo Pontefice Jorge Mario Bergoglio, gesuita argentino, finora arcivescovo di Buenos Aires, Ordinario per i fedeli di rito orientale residenti in Argentina e sprovvisti di Ordinario del proprio rito, è nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, da una famiglia di origine piemontese, Mario, impiegato ferroviere e Regina Sivori, casalinga, genitori di cinque figli. Ha studiato e si è diplomato come tecnico chimico, ma poi ha scelto il sacerdozio ed è entrato nel seminario di Villa Devoto. L’11 marzo 1958 è passato al noviziato della Compagnia di Gesù, ha compiuto studi umanistici in Cile e nel 1963, di ritorno a Buenos Aires, ha conseguito la laurea in filosofia presso la Facoltà di Filosofia del collegio massimo «San José» di San Miguel.
Fra il 1964 e il 1965 è stato professore di letteratura e di psicologia nel collegio dell’Immacolata di Santa Fe e nel 1966 ha insegnato le stesse materie nel collegio del Salvatore di Buenos Aires.Dal 1967 al 1970 ha studiato teologia presso la Facoltà di Teologia del collegio massimo «San José», di San Miguel, dove ha conseguito la laurea. Il 13 dicembre 1969 è stato ordinato sacerdote. Nel 1970-71 ha compiuto il terzo probandato ad Alcalá de Henares (Spagna) e il 22 aprile 1973 ha fatto la sua professione perpetua.
È stato maestro di novizi a Villa Barilari, San Miguel (1972-1973), professore presso la Facoltà di Teologia, Consultore della Provincia e Rettore del collegio massimo. Il 31 luglio 1973 è stato eletto Provinciale dell’Argentina, incarico che ha esercitato per sei anni. Fra il 1980 e il 1986 è stato rettore del collegio massimo e delle Facoltà di Filosofia e Teologia della stessa Casa e parroco della parrocchia del Patriarca San José, nella Diocesi di San Miguel. Nel marzo 1986 si è recato in Germania per ultimare la sua tesi dottorale; quindi i superiori lo hanno destinato al collegio del Salvatore, da dove è passato alla chiesa della Compagnia nella città di Cordoba come direttore spirituale e confessore.
Il 20 maggio 1992 Giovanni Paolo II lo ha nominato Vescovo titolare di Auca e Ausiliare di Buenos Aires. Il 27 giugno dello stesso anno ha ricevuto nella cattedrale di Buenos Aires l’ordinazione episcopale dalle mani del Cardinale Antonio Quarracino, del Nunzio Apostolico Monsignor Ubaldo Calabresi e del Vescovo di Mercedes-Luján, Monsignor Emilio Ogñénovich.
Il 3 giugno 1997 è stato nominato Arcivescovo Coadiutore di Buenos Aires e il 28 febbraio 1998 Arcivescovo di Buenos Aires per successione, alla morte del Cardinale Quarracino. Diventa così Primate d’Argentina. Dal 6 novembre dello stesso anno è anche ordinario per i fedeli di rito orientale in Argentina che non possono contare su un Ordinario del loro rito.
Da Giovanni Paolo II creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001, del Titolo di San Roberto Bellarmino.
Da Cardinale è stato Relatore Generale aggiunto alla 10ª Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2001). Ha partecipato nel Conclave del 18 e 19 aprile del 2005. Ha partecipato ed è membro del Consiglio post sinodale dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dal 2 al 23 ottobre del 2005.

 

L’ultina Omelia da cardinale

Mercoledì delle Ceneri 2013  “Strappate cuori, guarite mondo”

Attraverso i mezzi di comunicazione, piano piano ci abituiamo a sentire e a vedere la cronaca nera della società contemporanea, che si presenta quasi come una gioia malvagia, e ci abituiamo anche a toccarla e sentirla nelle cose che ci circondano e nella nostra propria carne. Il dramma si sente nelle strade, nei quartieri, nella nostra casa e, perché no, nel nostro cuore. Conviviamo con la violenza che uccide, che distrugge le famiglie, ravviva le guerre e i conflitti in tanti Paesi del mondo. Conviviamo con l’invidia, l’odio, la calunnia, la mondanità nel nostro cuore. La sofferenza degli innocenti e della gente mite non smette di schiaffeggiarci, il disprezzo per i diritti delle persone e dei popoli più fragili non sono così lontani da noi; l’impero del danaro con gli effetti perversi rappresentati dalla droga, dalla corruzione, dalla tratta delle persone – compresi i bambini – assieme alla miseria materiale e morale sono situazioni di ogni giorno. La distruzione di un lavoro degno, le migrazioni dolorose e la mancanza di futuro sono parte di questo insieme di difficoltà. I nostri errori e peccati come Chiesa non rimangono fuori da questo grande panorama. Gli egoismi personali giustificati, e non per questo più piccoli, la mancanza di valori etici nel seno della società che distrugge le famiglie, la convivenza tra le persone dei quartieri, dei popoli e delle città ci parlano dei nostri limiti, della nostra debolezza e della nostra incapacità per poter trasformare questo elenco immenso di realtà distruttrici. La trappola dell’impotenza ci porta a pensare. Ha senso cercare di cambiare tutto questo? Possiamo fare qualcosa di fronte a questa situazione? Vale la pena cercare di farlo quando il mondo continua la sua carnevalata mascherando tutto per un po’ di tempo? Quando cade la maschera compare la verità e, anche se per molti può sembrare anacronistico, ricompare il peccato che ferisce la nostra carne con tutta la sua forza di distruzione, cambiando i destini del mondo e della storia. La Quaresima si presenta come grido di verità e di speranza, e ci risponde di sì, che è possibile non dover truccarci e disegnare nei nostri volti sorrisi di plastica come se niente fosse. Sì, è possibile che tutto sia nuovo e diverso perché Dio continua ad essere «ricco di bontà e misericordia, sempre disposto a perdonare» e ci incoraggia a ricominciare una e più volte. Oggi, ancora una volta, siamo invitati a intraprendere un cammino pasquale verso la Vita, cammino che comprende la croce e la rinuncia, che sarà scomodo ma non sterile. Siamo invitati a riconoscere che c’è qualcosa che non va bene in noi stessi, nella società o nella Chiesa, siamo invitati a cambiare, a dare una sterzata nelle nostre vite, a convertirci. Oggi sono piene di sfida le parole del profeta Gioele: strappate il vostro cuore, non le vostri vesti e convertitevi al Signore vostro Dio. Queste parole sono un invito a tutti, nessuno escluso. Strappate il cuore e non le vesti di una penitenza artificiale senza garanzie di futuro. Strappate i cuori per dire con il salmo «Abbiamo peccato». «La ferita dell’anima è il peccato. Oh, povero ferito, riconosci il tuo dottore! Mostra le piaghe delle tue colpe. E visto che a Lui non si possono nascondere i nostri pensieri più intimi, fai sentire il gemito del tuo cuore. Cerca la Sua compassione con le tue lacrime, con la tua insistenza, importunalo! Che ascolti i tuoi sospiri, che il tuo dolore arrivi fino a Lui, in modo che, alla fine, possa dirti: Il Signore ha perdonato il tuo peccato» (San Gregorio Magno). Questa è la realtà della nostra condizione umana. Questa è la verità che può avvicinarci alla nostra autentica riconciliazione con Dio e con gli uomini. Non si tratta di screditare l’autostima ma di penetrare nel più profondo dei nostri cuori e farci carico del mistero della sofferenza e del dolore che ci lega da secoli, da migliaia di anni, da sempre. Strappate i cuori affinché da quella fessura possiamo guardarci veramente. Strappate i cuori, aprite i cuori, perché solo in un cuore strappato e aperto può entrare l’amore del Padre. Strappate i cuori, dice il profeta, e Paolo ci chiede «Lasciatevi riconciliare con Dio». Cambiare il modo di vivere è segno e frutto del cuore strappato e riconciliato da un amore che va oltre noi stessi. Questo è l’invito, di fronte alle tante ferite che ci danneggiano e che ci possono portare alla tentazione di indurirci. Strappate il cuore per sentire l’eco delle tante vite lacerate e che l’indifferenza non ci renda insensibili. Strappate il cuore per poter amare con l’amore con il quale siamo amati, consolare con la consolazione con la quale siamo consolati e condividere ciò che abbiamo ricevuto. Questo tempo liturgico non è solo per noi, ma anche per la trasformazione della nostra famiglia, della nostra comunità, della nostra Chiesa, della nostra Patria, del mondo intero. Sono quaranta giorni per convertirci alla santità medesima di Dio; per convertirci in collaboratori che ricevono la grazia e la possibilità di ricostruire la vita umana, affinché l’uomo possa sperimentare la salvezza che Cristo ci offrì con morte e resurrezione. Con preghiere e penitenza, ci disponiamo a iniziare come in passato il Gesto quaresimale di solidarietà. Come Chiesa di Buenos Aires serve che dai nostri cuori germogli la grazia e il gesto che dia sollievo al dolore di tanti fratelli che camminano con noi. «Nessun atto di virtù può essere grande se da questo non scaturisce un beneficio per il prossimo. Anche se passi la tua giornata a digiunare, anche se dormi sul duro pavimento e mangi cenere, e sospiri in continuazione, se non fai del bene agli altri, non fai niente di grande (San Giovanni Crisostomo). Questo anno di fede è l’opportunità che Dio ci regala per maturare nell’incontro con il Signore, che si rende visibile nel viso sofferente di tanti bambini senza futuro, nelle mani tremanti degli anziani dimenticati e nelle ginocchia vacillanti delle tante famiglie che continuano a far fronte alla vita senza trovare sostegno in nessuno. Vi auguro una Santa Quaresima, penitenziale e feconda, e, per favore, vi chiedo di pregare per me. Che Gesù vi benedica e la Madonna vi protegga.

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