Visite
Utenti in linea
Vangelo del giorno
Sabato 23 Novembre 2024

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

(Lc. 20,27-40) 

Bibbia – CEI 2008
Cerca nella BIBBIA
Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Fede e Spiritualità

forte1 Questa “Lettera ai cercatori di Dio” è stata preparata per iniziativa della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Conferenza Episcopale Italiana, come sussidio offerto a chiunque voglia farne oggetto di lettura personale, oltre che come punto di partenza per dialoghi destinati al primo annuncio della fede in Gesù Cristo, all’interno di un itinerario che possa introdurre all’esperienza della vita cristiana nella Chiesa. 

  Il Consiglio Episcopale Permanente ne ha approvato la pubblicazione nella sessione del 22-25 settembre 2008.

Scarica
lettera

06

Lettera

Frutto di un lavoro collegiale che ha coinvolto vescovi, teologi, pastoralisti, catecheti ed esperti nella comunicazione, la Lettera si rivolge ai “cercatori di Dio”, a tutti coloro, cioè, che sono alla ricerca del volto del Dio vivente. Lo sono i credenti, che crescono nella conoscenza della fede proprio a partire da domande sempre nuove, e quanti – pur non credendo – avvertono la profondità degli interrogativi su Dio e sulle cose ultime. La Lettera vorrebbe suscitare attenzione e interesse anche in chi non si sente in ricerca, nel pieno rispetto della coscienza di ciascuno, con amicizia e simpatia verso tutti.

 Il testo parte da alcune domande che ci sembrano diffuse nel vissuto di molti, per poi proporre l’annuncio cristiano e rispondere alla richiesta: dove e come incontrare il Dio di Gesù Cristo? Ovviamente, la Lettera non intende dire tutto: essa vuole piuttosto suggerire, evocare, attrarre a un successivo approfondimento, per il quale si rimanda a strumenti più adatti e completi, fra cui spiccano il Catechismo della Chiesa Cattolica e i Catechismi della Conferenza Episcopale Italiana.

 La Commissione Episcopale si augura che la Lettera possa raggiungere tanti e suscitare reazioni, risposte, nuove domande, che aiutino ciascuno a interrogarsi sul Dio di Gesù Cristo e a lasciarsi interrogare da Lui. Affida perciò al Signore queste pagine e chi le leggerà, perché sia Lui a farne strumento della Sua grazia.

Bruno Forte ( Arcivescovo di Chieti Vasto Presidente della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi )

Giovanni XXIII  L’11 ottobre è la memoria liturgica del Beato Papa Giovanni.

Questa data della sua festa è stata scelta  perchè l’11 Ottobre 1962 Papa Giovanni dava inizio al Concilio con quel suo discorso che ha messo tutto in movimento.

Questa memoria, non per nostalgia, ma per fiducia che lo Spirito Santo custodisca questi doni malgrado tutte le attuali distrazioni e deviazioni.

 
     

Riportiamo il discorso di Papa Giovanni all’apertura del Concilio

Venerabili Fratelli,

1. La Madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della Divina Provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale qui, presso il sepolcro di san Pietro, auspice la Vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, inizia solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II.

 

I Concili Ecumenici nella Chiesa

2. 1. Tutti i Concili — sia i venti Ecumenici sia gli innumerevoli e da non sottovalutare Provinciali e Regionali — che sono stati celebrati nel succedersi dei secoli, attestano con evidenza la vitalità della Chiesa Cattolica e sono iscritti come lumi splendenti nella sua storia.

2. Nell’indire questa grandiosa assemblea, il più recente e umile Successore del Principe degli Apostoli, che vi parla, si è proposto di riaffermare ancora una volta il Magistero Ecclesiastico, che non viene mai meno e perdura sino alla fine dei tempi; Magistero che con questo Concilio si presenta in modo straordinario a tutti gli uomini che sono nel mondo, tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze, delle opportunità dell’età contemporanea.

3. Iniziando questo Concilio universale, il Vicario di Cristo, che vi sta parlando, guarda, com’è naturale, al passato, e quasi ne percepisce la voce incitante e incoraggiante: volentieri infatti ripensa alle benemerenze dei Sommi Pontefici che vissero in tempi più antichi e più recenti, e che dalle assemblee dei Concili, tenuti sia in Oriente che in Occidente dal quarto secolo fino al Medio Evo e agli ultimi tempi, hanno trasmesso le testimonianze di tale voce veneranda e solenne. Esse acclamano senza sosta al trionfo di quella Società umana e divina, cioè della Chiesa, che assume dal Divin Redentore il nome, i doni della grazia e tutto il suo valore.

4. Se questo è motivo di letizia spirituale, non possiamo tuttavia negare che nella lunga serie di diciannove secoli molti dolori e amarezze hanno oscurato questa storia. Fu ed è veritiero quello che il vecchio Simeone con voce profetica disse a Maria Madre di Gesù: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti…, segno di contraddizione” [1]. E Gesù stesso, cresciuto in età, indicò chiaramente come nei tempi si sarebbero comportati gli uomini verso di lui, pronunziando quelle misteriose parole: “Chi ascolta voi ascolta me” [2]. Questo disse inoltre: “Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde” [3], come vediamo scritto in San Luca, che riferisce anche le espressioni precedenti.

5. Dopo quasi venti secoli, le situazioni e i problemi gravissimi che l’umanità deve affrontare non mutano; infatti Cristo occupa sempre il posto centrale della storia e della vita: gli uomini o aderiscono a lui e alla sua Chiesa, e godono così della luce, della bontà, del giusto ordine e del bene della pace; oppure vivono senza di lui o combattono contro di lui e restano deliberatamente fuori della Chiesa, e per questo tra loro c’è confusione, le mutue relazioni diventano difficili, incombe il pericolo di guerre sanguinose.

6. Ogni volta che vengono celebrati, i Concili Ecumenici proclamano in forma solenne questa corrispondenza con Cristo e con la sua Chiesa ed irradiano per ogni dove la luce della verità, indirizzano sulla via giusta la vita dei singoli, della convivenza domestica e della società, suscitano ed irrobustiscono le energie spirituali, innalzano stabilmente gli animi ai beni veri e sempiterni.

7. Mentre contempliamo le successive epoche dell’umanità durante questi venti secoli dell’era cristiana, davanti ai Nostri occhi sfilano le testimonianze di questo Magistero straordinario della Chiesa, cioè dei Concili universali. Tale documentazione è contenuta in parecchi volumi di grande imponenza, ed è da considerare come un sacro tesoro, che è conservato negli archivi della Città di Roma e nelle più celebri biblioteche di tutto il mondo.

 

Origine e causa del Concilio Ecumenico Vaticano II

3. 1. Quanto all’origine e alla causa del grande avvenimento per il quale Ci è piaciuto adunarvi, è sufficiente riportare ancora una volta la testimonianza, certamente umile, ma che Noi possiamo attestare come sperimentata: la prima volta abbiamo concepito questo Concilio nella mente quasi all’improvviso, e in seguito l’abbiamo comunicato con parole semplici davanti al Sacro Collegio dei Padri Cardinali in quel fausto 25 gennaio 1959, festa della Conversione di San Paolo, nella sua Patriarcale Basilica sulla via Ostiense. Gli animi degli astanti furono subito repentinamente commossi, come se brillasse un raggio di luce soprannaturale, e tutti lo trasparirono soavemente sul volto e negli occhi. Nello stesso tempo si accese in tutto il mondo un enorme interesse, e tutti gli uomini cominciarono ad attendere con impazienza la celebrazione del Concilio.

2. In questi tre anni è stato svolto un lavoro intenso per preparare il Concilio, con il programma di indagare più accuratamente ed ampiamente quale fosse in questa nostra epoca la condizione della Fede, della pratica religiosa, dell’incidenza della comunità cristiana e soprattutto cattolica.

3. Non a torto questo tempo speso nel preparare il Concilio Ci sembra sia stato quasi un primo segno e dono della grazia celeste.

4. Illuminata dalla luce di questo Concilio, la Chiesa si accrescerà, come speriamo, di ricchezze spirituali e, attingendovi il vigore di nuove energie, guarderà con sicurezza ai tempi futuri. Infatti, introducendo opportuni emendamenti ed avviando saggiamente un impegno di reciproco aiuto, la Chiesa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le menti alle realtà soprannaturali.

5. È dunque dovere di coscienza ringraziare fervidamente il Sommo Datore di ogni bene per la celebrazione di questo Concilio, e magnificare con esultanza la gloria di Cristo Signore, che è Re vittorioso ed immortale dei secoli e dei popoli.

 

Opportunità di celebrare il Concilio

4. 1. C’è inoltre un’altra cosa, Venerabili Fratelli, ch

e è utile proporre alla vostra considerazione sull’argomento. Ad aumentare la santa letizia che in quest’ora solenne pervade i nostri animi, Ci sia cioè permesso osservare davanti a questa grandiosa assemblea che l’apertura di questo Concilio Ecumenico cade proprio in circostanze favorevoli di tempo.

2. Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.

3. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.

4. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa.

5. Questo è facile arguire se si considerano con attenzione i problemi e i pericoli di natura politica ed economica del giorno d’oggi. Essi tengono così occupati gli uomini da distogliere i loro interessi e le loro preoccupazioni dal fatto religioso, che è di pertinenza del sacro Magistero della Chiesa. Questo modo di agire non manca certo di errore, e dev’essere giustamente riprovato. Tuttavia nessuno può negare che queste nuove situazioni indotte hanno almeno questo vantaggio, che vengono così eliminati quegli innumerevoli impedimenti con cui un tempo i figli del secolo erano soliti ostacolare la libera azione della Chiesa. Basta sfogliare di sfuggita gli annali ecclesiastici per constatare con evidenza che gli stessi Concili Ecumenici, le cui vicende sono registrate a caratteri d’oro nella storia della Chiesa, sono stati spesso celebrati non senza gravissime difficoltà e motivi di dolore a causa dell’indebita ingerenza del potere civile. Talvolta infatti i Principi di questo mondo si proponevano sinceramente di assumere la protezione della Chiesa, ma molte volte ciò non avveniva senza danno e pericolo spirituale, perché più spesso essi erano guidati da calcoli politici e si preoccupavano troppo dei propri interessi.

6. Confessiamo che oggi siamo afflitti da grandissimo dolore perché in mezzo a voi mancano molti Pastori della Chiesa, a Noi carissimi, che per la Fede di Cristo sono tenuti in catene o sono impediti da altri ostacoli, e il cui ricordo Ci spinge ad elevare per essi a Dio ardentissime preghiere; tuttavia non senza speranza e Nostra grande consolazione vediamo oggi verificarsi il fatto che la Chiesa, finalmente sciolta da tanti impedimenti profani delle età passate, da questo Tempio Vaticano, come da un secondo Cenacolo degli Apostoli, per mezzo di voi possa alzare la sua voce, gravida di autorità e di maestà.

 

Compito principale del Concilio: difendere e diffondere la dottrina

5. 1. Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace.

2. Tale dottrina abbraccia l’uomo integrale, composto di anima e di corpo, e a noi, che abitiamo su questa terra, comanda di tendere come pellegrini alla patria celeste.

3. Ciò mostra in qual modo si deve ordinare questa vita mortale, affinché, adempiendo i nostri doveri, ai quali siamo tenuti verso la Città terrena e quella celeste, possiamo raggiungere il fine a noi prestabilito da Dio. In altri termini, tutti quanti gli uomini, sia singoli che come società, finché questa vita lo permette, hanno il dovere di tendere senza tregua a conseguire i beni celesti, e servirsi per far questo delle realtà terrene, in modo però che l’uso dei beni temporali non rechi pregiudizio alla loro felicità eterna.

4. È certamente vero che il Signore ha pronunziato questa esortazione: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia” [4]. Questo “prima” esprime dove devono essere dirette anzitutto le nostre forze e le nostre preoccupazioni; però non bisogna affatto trascurare le altre parole che seguono in questo comando del Signore: “e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” [5]. In realtà, nella Chiesa ci furono sempre e ci sono coloro, che, pur dedicandosi con tutte le forze alla pratica della perfezione evangelica, danno contemporaneamente il loro contributo al progresso civile, perché dagli esempi della loro vita e dalle loro benefiche iniziative di carità riceve non poco vigore e incremento quanto c’è di più alto e di più nobile nella società umana.

5. Ma perché tale dottrina raggiunga i molteplici campi dell’attività umana, che toccano le persone singole, le famiglie e la vita sociale, è necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi; ed insieme ha bisogno di guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere, ed ha aperto nuove vie all’apostolato cattolico.

6. Per questa ragione la Chiesa non è rimasta indifferente a quelle meravigliose scoperte dell’umano ingegno ed a quel progresso delle idee di cui oggi godiamo, né è stata incapace di onestamente apprezzarle; ma, seguendo con vigile cura questi fatti, non cessa di ammonire gli uomini perché, al di sopra dell’attrattiva delle realtà visibili, volgano gli occhi a Dio, fonte di ogni sapienza e di ogni bellezza, affinché essi, ai quali è stato detto: “Soggiogate la terra e dominatela” [6], non dimentichino quel rigorosissimo comando: “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto” [7], perché il fascino fuggente delle cose non impedisca il vero progresso.

 

In che modo va sviluppata oggi la dottrina

6. 1. Ciò premesso, Venerabili Fratelli, diventa chiaro che cosa è stato demandato al Concilio Ecumenico per quanto riguarda la dottrina.

2. Il ventunesimo Concilio Ecumenico — che si avvale dell’efficace e importante aiuto di persone che eccellono nella scienza delle discipline sacre, dell’esercizio dell’apostolato e della rettitudine nel comportamento — vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica, che, seppure tra difficoltà e controversie, è divenuta patrimonio comune degli uomini. Questo non è gradito a tutti, ma viene proposto come offerta di un fecondissimo tesoro a tutti quelli che sono dotati di buona volontà.

3. Però noi non dobbiamo soltanto custodire questo prezioso tesoro, come se ci preoccupassimo della sola antichità, ma, alacri, senza timore, dobbiamo continuare nell’opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso per quasi venti secoli.

4. Ma il nostro lavoro non consiste neppure, come scopo primario, nel discutere alcuni dei principali temi della dottrina ecclesiastica, e così richiamare più dettagliatamente quello che i Padri e i teologi antichi e moderni hanno insegnato e che ovviamente supponiamo non essere da voi ignorato, ma impresso nelle vostre menti.

5. Per intavolare soltanto simili discussioni non era necessario indire un Concilio Ecumenico. Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale.

 

In che modo vanno combattuti gli errori

7. 1. Aprendo il Concilio Ecumenico Vaticano II, è evidente come non mai che la verità del Signore rimane in eterno. Vediamo infatti, nel succedersi di un’età all’altra, che le incerte opinioni degli uomini si contrastano a vicenda e spesso gli errori svaniscono appena sorti, come nebbia dissipata dal sole.

2. Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, soprattutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi, riponendo troppa fiducia nel progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita. Essi sono sempre più consapevoli che la dignità della persona umana e la sua naturale perfezione è questione di grande importanza e difficilissima da realizzare. Quel che conta soprattutto è che essi hanno imparato con l’esperienza che la violenza esterna esercitata sugli altri, la potenza delle armi, il predominio politico non bastano assolutamente a risolvere per il meglio i problemi gravissimi che li tormentano.

3. Così stando le cose, la Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati. All’umanità travagliata da tante difficoltà essa dice, come già Pietro a quel povero che gli aveva chiesto l’elemosina: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” [8]. In altri termini, la Chiesa offre agli uomini dei nostri tempi non ricchezze caduche, né promette una felicità soltanto terrena; ma dispensa i beni della grazia soprannaturale, i quali, elevando gli uomini alla dignità di figli di Dio, sono di così valida difesa ed aiuto a rendere più umana la loro vita; apre le sorgenti della sua fecondissima dottrina, con la quale gli uomini, illuminati dalla luce di Cristo, riescono a comprendere a fondo che cosa essi realmente sono, di quale dignità sono insigniti, a quale meta devono tendere; infine, per mezzo dei suoi figli manifesta ovunque la grandezza della carità cristiana, di cui null’altro è più valido per estirpare i semi delle discordie, nulla più efficace per favorire la concordia, la giusta pace e l’unione fraterna di tutti.

 

Promuovere l’unità nella famiglia cristiana e umana

8. 1. Questa sollecitudine della Chiesa nel promuovere e tutelare la verità deriva dal fatto che, secondo il piano di Dio, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” [9], senza l’aiuto dell’intera dottrina rivelata gli uomini non possono pervenire ad una assoluta e saldissima unità degli animi, cui sono collegate la vera pace e l’eterna salvezza.

2. Purtroppo tutta la comunità dei cristiani non ha ancora pienamente e perfettamente raggiunto questa visibile unità nella verità. La Chiesa Cattolica ritiene suo dovere adoperarsi attivamente perché si compia il grande mistero di quell’unità che Cristo Gesù con ardentissime preghiere ha chiesto al Padre Celeste nell’imminenza del suo sacrificio; essa gode di pace soavissima, sapendo di essere intimamente unita a Cristo in quelle preghiere; di più, si rallegra sinceramente quando vede che queste invocazioni moltiplicano i loro frutti più generosi anche tra coloro che stanno al di fuori della sua compagine. Se ben consideriamo, questa stessa unità, che Cristo impetrò per la sua Chiesa, sembra quasi rifulgere di un triplice raggio di luce soprannaturale e salvifica, a cui corrispondono: l’unità dei cattolici tra di loro, che deve essere mantenuta fermissima e brillare come esempio; poi, l’unità che consiste nelle pie preghiere e nelle ardenti speranze con cui i cristiani separati da questa Sede Apostolica aspirano ad essere uniti con noi; infine, l’unità basata sulla stima e il rispetto verso la Chiesa Cattolica che nutrono coloro che seguono le diverse forme di religione non ancora cristiane.

3. A questo proposito – per quanto tutti gli uomini che nascono siano stati anch’essi redenti nel sangue di Cristo – c’è veramente da dolersi che tuttora gran parte del genere umano non partecipi ancora di quelle fonti di grazia soprannaturale che ci sono nella Chiesa Cattolica. Ne deriva che alla Chiesa Cattolica, la cui luce illumina tutte le cose e la cui forza di unità soprannaturale ridonda a vantaggio di tutta la comunità umana, si applicano perfettamente queste belle parole di San Cipriano: “Perfusa di luce, la Chiesa del Signore diffonde i suoi raggi sul mondo intero; è però un’unica luce che viene irradiata dovunque, né viene scissa l’unità del corpo. Estende i suoi rami su tutta la terra per il copioso rigoglio, espande a profusione i rivoli che scaturiscono con abbondanza; ma è unico il capo e unica l’origine e unica la madre fertile per le fortunate fecondità: da lei siamo partoriti, siamo nutriti dal suo latte, siamo vivificati dal suo spirito [10].

 

Venerabili Fratelli,

4. Questo si propone il Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale, mentre raccoglie insieme le migliori energie della Chiesa e si sforza con zelo di far accogliere dagli uomini più favorevolmente l’annunzio della salvezza, quasi prepara e consolida la via per realizzare quell’unità del genere umano, che è come il necessario fondamento, perché la Città terrena si organizzi a somiglianza della Città celeste “il cui re è la verità, la cui legge è la carità, la cui grandezza è l’eternità” [11].

 

Conclusione

9. 1. Ed ora “la nostra voce si rivolge a voi” [12], Venerabili Fratelli nell’Episcopato. Eccoci ormai radunati insieme in questa Basilica Vaticana, dove si trova il cardine della storia della Chiesa: dove ora il Cielo e la terra si uniscono in uno strettissimo abbraccio, qui presso il sepolcro di San Pietro, presso le tombe di tanti Santi Nostri Predecessori, le cui ceneri in quest’ora solenne sembrano quasi esultare di un fremito arcano.

2. Il Concilio che inizia sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente! Tutto qui spira santità, suscita esultanza. Contempliamo infatti stelle aumentare con il loro chiarore la maestà di questo tempio, e siete voi, secondo la testimonianza dell’Apostolo Giovanni [13]; e per voi risplendere i candelabri d’oro intorno al sepolcro del Principe degli Apostoli, che sono le Chiese a voi affidate [14]. Vediamo anche le degnissime personalità che sono convenute a Roma dai cinque continenti, in rappresentanza delle proprie Nazioni, e che sono qui presenti con grande rispetto e in cortesissima attesa.

3. Si può dunque dire che i Santi e gli uomini cooperano nella celebrazione del concilio: i Santi del Cielo sono impegnati a proteggere i nostri lavori; i fedeli ad elevare a Dio ardenti preghiere; e voi tutti, assecondando prontamente le soprannaturali ispirazioni dello Spirito Santo, ad applicarvi attivamente perché le vostre fatiche rispondano pienamente alle attese e alle necessità dei diversi popoli. Perché ciò si avveri, si richiedono da voi la serena pace degli animi, la concordia fraterna, la moderazione delle iniziative, la correttezza delle discussioni, la saggezza in tutte le decisioni.

4. Che il vostro impegno e il vostro lavoro, ai quali sono rivolti non solo gli occhi dei popoli, ma anche le speranze del mondo intero, corrispondano largamente alle attese.

5. Dio Onnipotente, in te riponiamo tutta la fiducia, diffidando delle nostre forze. Guarda benigno a questi Pastori della tua Chiesa. La luce della tua grazia superna Ci assista nel prendere le decisioni, sia presente nell’emanare leggi; ed esaudisci prontamente le preghiere che rivolgiamo a te in unanimità di Fede, di voce, di animo.

6. O Maria, Aiuto dei Cristiani, Aiuto dei Vescovi, il cui amore abbiamo recentemente sperimentato in modo particolare nel tuo tempio di Loreto, dove abbiamo venerato il mistero dell’Incarnazione, con il tuo soccorso disponi tutto per un esito felice, fausto, propizio; insieme con il tuo Sposo San Giuseppe, con i Santi Apostoli Pietro e Paolo, con i santi Giovanni Battista ed Evangelista, intercedi per noi presso Dio.

7. A Gesù Cristo, amabilissimo Redentore nostro, Re immortale dei popoli e dei tempi, amore, potere e gloria nei secoli dei secoli. Amen (AAS 54 (1962), pp. 785-795).

sindone

E’ “ finita” la  “ Settimana Santa “ con le sue celebrazioni liturgiche, folclore, tradizioni popolari, processioni perfette e impeccabili 

Quanta commozione davanti ad una statua o a un simulacro  e quanta indifferenza per il povero, l’emarginato, l’abbandonato in ospedale  in un letto di piaghe, l’emigrato, la badante “ non collocata”, il carcerato, l’ alcolizzato ..  il drogato …  lo sfruttato di ogni genere …   ….  Però , per partecipare alla processione, è “ gradito “ un impeccabile abito scuro !!!

 Quanto è triste far finta di non vedere e proseguire la vita nella ritualità monotona di un susseguirsi di eventi effimeri che  lasciano posto alla noia distruttrice di speranza ed entusiasmo, nella tristezza e nella solitudine più terribile .. anche se, prendendo in giro noi stessi, facciamo finta di essere soddisfatti dell’avvicendarsi  delle varie inutilità che rincorriamo. 

50

   E’ terribilmente difficile sradicare certezze non vere in chi non è disponibile alla novità, in chi – facendosi scudo della “ cultura” e della “tradizione” – rimane cieco alla novità della Risurrezione.

    Mai puntare il dito però.  E’ necessario annunciare con delicatezza e rispetto la novità; non con  parole, ma con l’estrema eloquenza di un silenzio che parla attraverso una vita che “ si dimentica “ per “ farsi dono”.

   Forse le “ forme istituzionalizzate “ di aggregazioni del popolo di Dio, come le parrocchie, divenute – come ci ha detto  Mons. Bettazzi   distributrici di sacramenti “ a pagamento” , disperdono,dividono, disorientano e, “ forse “, scandalizzano, soprattutto quando vivono “ in competizione “ l’una con l’altra; o ancor peggio quando più che essere sacramento di amore, sono segno terribile di pettegolezzo, rivalità, etc…

   E necessario che sorgano comunità autentiche che vivano nella condivisione piena, nella gioia vera, nella misericordia e soprattutto nella delicatezza verso chi ancora è prigioniero del “ vecchio”.

    E dai “ lontani “ viene fuori l’stanza  di un ritorno alla radicalità evangelica : “ Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.  Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.  Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune;  chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.  Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore,  lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.  Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.( At 2,42+)

 

   Facciamo posto allo Spirito che, come dice Enzo Bianchi nel suo libro “ Pregare la parola”, citando un  monaco del monte Athos, è come una colomba, che tanto più si avvicina a noi quanto più noi siamo quieti, fermi, docili ad attenderla.

 

Testo della regola di  San Francesco

CAPITOLO I

NEL NOME DEL SIGNORE!  INCOMINCIA LA VITA DEI FRATI MINORI

La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità.

  

 

Frate Francesco promette obbedienza e reverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana. E gli altri frati siano tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori.

 ( Cliccando al link puoi scaricare il copione del musical … io Francesco piccolo l’ultimo dei minori … )

CAPITOLO II : DI COLORO CHE VOGLIONO  INTRAPRENDERE QUESTA VITA
E COME DEVONO ESSERE RICEVUTI

Se alcuni vorranno intraprendere questa vita e verranno dai nostri frati, questi li mandino dai loro ministri provinciali, ai quali soltanto e non ad altri sia concesso di ammettere i frati. I ministri, poi, diligentemente li esaminino intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa. E se credono tutte queste cose e le vogliono fedelmente professare e osservare fermamente fino alla fine; e non hanno mogli o, qualora le abbiano, esse siano già entrate in monastero o abbiano dato loro il permesso con l’autorizzazione del vescovo diocesano, dopo aver fatto voto di castita; e le mogli siano di tale età che non possa nascere su di loro alcun sospetto; dicano ad essi la parola del santo Vangelo, che «vadano e vendano tutto quello che posseggono e procurino di darlo ai poveri». Se non potranno farlo, basta ad essi la buona volontà.
E badino i frati e i loro ministri di non essere solleciti delle loro cose temporali, affinché dispongano delle medesime liberamente, secondo l’ispirazione del Signore. Se tuttavia fosse chiesto loro un consiglio, i ministri abbiano la facoltà di mandarli da persone timorate di Dio, perché con il loro consiglio i loro beni vengano elargiti ai poveri.
Poi concedano loro i panni della prova, cioé due tonache senza cappuccio e il cingolo e i pantaloni e il capperone fino al cingolo, a meno che qualche volta ai ministri non sembri diversamente secondo Dio.
Terminato, poi, l’anno della prova, siano ricevuti all’obbedienza, promettendo di osservare sempre questa vita e Regola. E in nessun modo sarà loro lecito di uscire da questa Religione, secondo il decreto del signor Papa; poiché, come dice il Vangelo, «nessuno che pone la mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».
E coloro che hanno già promesso obbedienza, abbiano una tonaca con il cappuccio e un’altra senza, coloro che la vorranno avere. E coloro che sono costretti da necessità possano portare calzature. E tutti i frati si vestano di abiti vili e possano rattopparli con sacco e altre pezze con la benedizione di Dio. Li ammonisco, però, e li esorto a non disprezzare e a non giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usare cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso.

CAPITOLO III

DEL DIVINO UFFICIO E DEL DIGIUNO,
E COME I FRATI DEBBANO ANDARE PER IL MONDO

I chierici recitino il divino ufficio, secondo il rito della santa Chiesa romana, eccetto il salterio, e perciò potranno avere i breviari.
I laici, invece, dicano ventiquattro Pater noster per il mattutino, cinque per le lodi; per prima, terza, sesta, nona, per ciascuna di queste ore, sette; per il Vespro dodici; per compieta sette; e preghino per i defunti.
E digiunino dalla festa di Tutti i Santi fino alla Natività del Signore. La santa Quaresima, invece, che incomincia dall’Epifania e dura ininterrottamente per quaranta giorni, quella che il Signore consacrò con il suo santo digiuno, coloro che volontariamente la digiunano siano benedetti dal Signore, e coloro che non vogliono non vi siano obbligati. Ma l’altra, fino alla Resurrezione del Signore, la digiunino.
Negli altri tempi non siano tenuti a digiunare, se non il venerdì. Ma in caso di manifesta necessità i frati non siano tenuti al digiuno corporale.
Consiglio, invece, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo che, quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole, e non giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene. E non debbano cavalcare se non siano costretti da evidente necessità o infermità.
In qualunque casa entreranno dicano, prima di tutto: Pace a questa casa; e, secondo il santo Vangelo, è loro lecito mangiare di tutti i cibi che saranno loro presentati.

CAPITOLO IV

CHE I FRATI NON RICEVANO DENARI

Comando fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia, direttamente o per interposta persona. Tuttavia, i ministri e i custodi, ed essi soltanto, per mezzo di amici spirituali, si prendano sollecita cura per le necessità dei malati e per vestire gli altri frati, secondo i luoghi e i tempi e i paesi freddi, così come sembrerà convenire alla necessità, salvo sempre il principio, come è stato detto, che non ricevano denari o pecunia.

CAPITOLO V

DEL MODO DI LAVORARE

Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione, così che, allontanato l’ozio, nemico dell’anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporali. Come ricompensa del lavoro ricevano le cose necessarie al corpo, per sé e per i loro fratelli, eccetto denari o pecunia, e questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà.

CAPITOLO VI

CHE I FRATI DI NIENTE SI APPROPRINO,
E DEL CHIEDERE L’ELEMOSINA
E DEI FRATI INFERMI

I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà ed umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia. Né devono vergognarsi, perché il Signore si è fatto povero per noi in questo mondo. Questa è la sublimità dell’altissima povertà, quella che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, vi ha fatto poveri di cose e ricchi di virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, quella che conduce fino alla terra dei viventi. E, aderendo totalmente a questa povertà, fratelli carissimi, non vogliate possedere niente altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo.
E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro reciprocamente. E ciascuno manifesti con fiducia all’altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?
E se uno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire come vorrebbero essere serviti essi stessi.

CAPITOLO VII

DELLA PENITENZA DA IMPORRE
AI FRATI CHE PECCANO

Se dei frati, per istigazione del nemico, avranno mortalmente peccato, per quei peccati per i quali sarà stato ordinato tra i frati di ricorrere ai soli ministri provinciali, i predetti frati siano tenuti a ricorrere ad essi, quanto prima potranno senza indugio.
I ministri, poi, se sono sacerdoti, loro stessi impongano con misericordia ad essi la penitenza; se invece non sono sacerdoti, la facciano imporre da altri sacerdoti dell’Ordine, cosi come sembrerà ad essi più opportuno, secondo Dio.
E devono guardarsi dall’adirarsi e turbarsi per il peccato di qualcuno, poiche l’ira e il turbamento impediscono la carità in sé e negli altri.

CAPITOLO VIII

DELLA ELEZIONE DEL MINISTRO
GENERALE DI QUESTA FRATERNITA’
E DEL CAPITOLO DI PENTECOSTE

Tutti i frati siano tenuti ad avere sempre uno dei frati di quest’Ordine come ministro generale e servo di tutta la Fraternità e a lui devono fermamente obbedire. Alla sua morte, l’elezione del successore sia fatta dai ministri provinciali e dai custodi nel Capitolo di Pentecoste, al quale i ministri provinciali siano tenuti sempre ad intervenire, dovunque sarà stabilito dal ministro generale; e questo, una volta ogni tre anni o entro un termine maggiore o minore, così come dal predetto ministro sarà ordinato.
E se talora ai ministri provinciali e ai custodi all’unanimità sembrasse che detto ministro non fosse idoneo al servizio e alla comune utilità dei frati, i predetti frati ai quali è commessa l’elezione, siano tenuti, nel nome del Signore, ad eleggersi un altro come loro custode. Dopo il Capitolo di Pentecoste i singoIi ministri e custodi possano, se vogliono e lo credono opportuno, convocare, nello stesso anno, nei loro territori, una volta i loro frati a Capitolo.

CAPITOLO IX

DEI PREDICATORI

I frati non predichino nella diocesi di alcun vescovo qualora dallo stesso vescovo sia stato loro proibito. E nessun frate osi affatto predicare al popolo, se prima non sia stato esaminato e approvato dal ministro generale di questa Fraternità e non abbia ricevuto dal medesimo l’ufficio della predicazione.
Ammonisco anche ed esorto gli stessi frati che, nella loro predicazione, le loro parole siano ponderate e caste, a utilità e a edificazione del popolo, annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso, poiché il Signore sulla terra parlò con parole brevi.

  CAPITOLO X

DELL’AMMONIZIONE E DELLA
CORREZIONE DEI FRATI

I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino e ammoniscano i loro frati e li correggano con umiltà e carità, non comandando ad essi niente che sia contro alla loro anima e alla nostra Regola.
I frati, poi, che sono sudditi, si ricordino che per Dio hanno rinnegato la propria volontà. Perciò comando loro fermamente di obbedire ai loro ministri in tutte quelle cose che promisero al Signore di osservare e non sono contrarie all’anima e alla nostra Regola.
E ovunque ci siano dei frati che si rendano conto e riconoscano di non poter osservare spiritualmente la Regola, debbano e possano ricorrere ai loro ministri. I ministri, poi, li accolgano con carità e benevolenza e li trattino con tale familiarità che quelli possano parlare e fare con essi così come parlano e fanno i padroni con i loro servi; infatti, così deve essere, che i ministri siano i servi di tutti i frati.
Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cure e preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione.
E coloro che non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle, ma facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e riprendono e ci calunniano, poiché dice il Signore: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano; beati quelli che sopportano persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi é il regno dei cieli. E chi perserverà fino alla fine, questi sarà salvo».

CAPITOLO XI

CHE I FRATI NON ENTRINO
NEI MONASTERI DELLE MONACHE

Comando fermamente a tutti i frati di non avere rapporti o conversazioni sospette con donne, e di non entrare in monasteri di monache, eccetto quelli ai quali è stata data dalla Sede Apostolica una speciale licenza.
Né si facciano padrini di uomini o di donne, affinché per questa occasione non sorga scandalo tra i frati o riguardo i frati.

CAPITOLO XII

DI COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI
E TRA GLI ALTRI INFEDELI

Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I Ministri poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi se non a quelli che riterranno idonei ad essere mandati.
Inoltre, impongo per obbedienza ai ministri che chiedano al signor Papa uno dei cardinali della santa Chiesa romana, il quale sia governatore, protettore e correttore di questa Fraternità, affinché, sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, l’umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso.

***

Pertanto a nessuno, in alcun modo, sia lecito di invalidare questo scritto della nostra conferma o di opporsi ad esso con audacia e temerarietà. Se poi qualcuno presumerà di tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.

Dal Laterano, il 29 novembre (1223), anno ottavo del nostro Pontificato

 

Liturgia del giorno
Cliccando sulle icone link per visualizzare e accedere alla liturgia del giorno e alla liturgia delle ore.
Raccolta Salmi Responsoriali


www.ilconfronto.com

Video new
Per vedere i filmati clik sull'icona di quello che scegli di vedere
Video Ros
www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com www.ilconfronto.com YouTube
Le vignette di T&T
Cliccando sulla immagine link per visualizzare le vignette. Richiedi password per accedere

www.ilconfronto.com

Concili
nella storia
della Chiesa

Piccola
biblioteca
da "sfogliare"

Raccolta video
"Il Confronto"

I Migranti sono
Persone..
non questioni
migratorie

Riflessioni sui
Migranti:
ricordando
La storia
di Ruth

P. Sorge
La politica
di chiusura
Mostrerà
la propria
disumanità

Lettera al
Presidente
della Repubblca
delle clarisse
carmelitane

Il nuovo patto
delle Catacombe
Chiesa povera
per i poveri

Cardinale Zuppi
a "Che tempo che fa"

Papa Francesco
a "Che tempo che fa"