Fede e Spiritualità
Tutti, dal Papa al più piccolo dei poveri siamo λαός, “popolo”, ovvero una moltitudine di persone alla sequela di Cristo; e quando, con “ varie argomentazioni “, ci si separa dalla sua parola risuoni forte l’invito «Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini». (Marco 8:33) … Rimettiti dietro e continua la sequela ….
L’invito, leggendo l’articolo, a interrogarsi, nella libertà più grande … nello stile di Francesco … “ in cosa sto sbagliando io per tutto quello che sta capitando alla mia chiesa ?? !! “ Questo il link dell’articolo: http://www.lettera43.it/attualita/23711/il-parroco–a-carico-nostro.htm |
“Su , venite e discutiamo” dice il Signore. “ Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve. Se fossero rossi come la porpora, diventeranno come lana. Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha Parlato(Isaia 1,18-20 )
Di fronte a questo mistero il silenzio è l’atteggiamento più saggio. Un silenzio che soltanto la parola di Dio è degna di rompere. A noi restano soltanto i gesti della solidarietà nel dolore; soprattutto i gesti della speranza cristiana. Nella celebrazione cristiana della morte, dell’esodo da questa vita, sono soprattutto i gesti che contano e che possono veramente “parlare”. Del resto è proprio questo il linguaggio fondamentale della liturgia (cf SC 7).
Questo è il compito della ministerialità sia ordinata che laica.
Non si tratta semplicemente di eseguire un rituale, ma di far sperimentare la presenza del Risorto. La celebrazione liturgica, del resto, non fa altro che esprimere e alimentare quella che è la missione di ogni cristiano in tutte le circostanze della sua vita: testimoniare la presenza di Cristo risorto. Testimonianza che nella celebrazione cristiana della morte diventa urgente e fondamentale. (don Silvano Sirboni)
Il funerale cristiano non è una semplice “cerimonia” di civili condoglianze, né a una vaga sacralizzazione della morte. È la professione di fede in una comunione che continua oltre il tempo e lo spazio.
«È vero che c’è sempre, nella morte, una separazione, ma i cristiani, membri come sono di Cristo e una sola cosa in lui, non possono essere separati neppure dalla morte» (Rito delle esequie 10).
Questa comunione è in qualche modo resa visibile proprio dal rituale delle esequie che, nella sua forma tipica, prevede «tre stazioni o soste: nella casa del defunto, in chiesa, al cimitero» (RE 4). |
Con lungimiranza pastorale e consapevolezza teologica le premesse al rito già 40 anni fa scrivevano: “Le esequie senza la messa possono essere celebrate dal diacono. Se la necessità pastorale lo esige, la Conferenza Episcopale può, con il consenso della Sede Apostolica, designare anche un laico. In mancanza del sacerdote o del diacono, è bene che nelle esequie del primo tipo [cioè con tre soste: nella casa del defunto, in chiesa e al cimitero] le stazioni nella casa del defunto e al cimitero siano guidate da laici; la stessa cosa in genere è bene fare per la veglia nella casa del defunto” (RE 19).
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Come già avviene in alcuni paesi dell’Europa e dell’America Latina, i laici saranno sempre più chiamati ad esercitare il loro sacerdozio battesimale anche per questa liturgia che pone l’ultimo sigillo della fede sulla vita terrena dei fedeli (cf P.Tomatis, Ministeri nel lutto in La Vita in Cristo e nella Chiesa, n. 9/2009, pp. 46-48) (don Silvano Sirboni).
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È sempre più raro che il ministro ordinato possa accompagnare il feretro al cimitero. La sepoltura o tumulazione avviene purtroppo nel totale silenzio, rotto, forse, da qualche singhiozzo. Si tratta invece di un momento dalle forti emozioni che la parola di Dio e la preghiera dovrebbero illuminare.
Fatta eccezione per la benedizione del sepolcro, anche un laico, con gli opportuni adattamenti, può dirigere in questo momento la preghiera che prevede la professione di fede (se non si è già fatta in chiesa), preghiera dei fedeli o altre invocazioni e orazioni adatte alla circostanza.
Anche se questo momento di preghiera può essere diretto da un familiare, sembra imporsi l’esigenza dei cosiddetti “ministri della consolazione” che a nome della comunità cristiana accompagnino il fratello defunto insieme ai familiari ed esprimano poi la preghiera della comunità locale presso il sepolcro. (don Silvano Sirboni)
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Tre ore di croce, dalla quale dà il perdono ai carnefici, apre il Paradiso al ladrone, dona a noi la Madre e, finalmente, il suo Corpo e il suo Sangue, dopo averceli dati misticamente nell’Eucaristia. |
Gli rimaneva la divinità.La sua unione col Padre, la dolcissima e ineffabile unione con Lui che l’aveva fatto tanto potente in terra, quale figlio di Dio, e tanto regale in croce, questo sentimento della presenza di Dio doveva scendere nel fondo della sua anima, non farsi più sentire, disunirlo in qualche modo da Colui che Egli aveva detto di essere uno con Lui: «Io e il Padre siamo uno» (Gv. 10,30).
In Lui l’amore era annientato; la luce, spenta la sapienza, taceva. Si faceva dunque nulla per far noi partecipi al Tutto; verme (Salmo, 22,7) della terra, per far noi figli di Dio.Eravamo staccati dal Padre.
Era necessario che il Figlio, nel quale noi tutti ci ritrovavamo, provasse il distacco dal Padre. Doveva sperimentare l’abbandono di Dio, perché noi non fossimo mai più abbandonati.
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Egli aveva insegnato che nessuno ha maggior carità di colui che pone la vita per gli amici suoi. Egli, la Vita, poneva tutto di sé. Era il punto culmine, la più bella espressione dell’amore.Il suo volto è nascosto in tutti gli aspetti dolorosi della vita: non sono che Lui.
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Sì, perché Gesù che grida l’abbandono è la figura del muto: non sa più parlare.
È la figura del cieco: non vede, del sordo: non sente.
È lo stanco che si lamenta. Rasenta la disperazione.
È l’affamato… d’unione con Dio.
È figura dell’illuso, del tradito, appare fallito.
È pauroso, timido, disorientato.
Gesù abbandonato è la tenebra, la malinconia, il contrasto, la figura di tutto ciò che è strano, indefinibile, che sa di mostruoso, perché un Dio che chiede aiuto!… È il solo, il derelitto… Appare inutile, scartato, scioccato… Lo si può scorgere perciò in ogni fratello sofferente.
Avvicinando coloro che a Lui somigliano, possiamo parlare di Gesù abbandonato.
A quanti si vedono simili a lui e accettano di condividere con Lui la sorte, ecco che egli risulta: per il muto la parola, a chi non sa, la risposta, al cieco la luce, al sordo la voce, allo stanco il riposo, al disperato la speranza, al separato l’unità, per l’inquieto, la pace. Con Lui l’uomo si trasforma e il non senso del dolore acquista senso.
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Egli aveva gridato il perché al quale nessuno aveva risposto, perché noi avessimo la risposta ad ogni perché.Il problema della vita umana è il dolore. Qualsiasi forma abbia, per terribile che sia, sappiamo che Gesù l’ha preso su di sé e muta, per un’alchimia divina, il dolore in amore.
Per esperienza posso dire che appena si gode di un qualsiasi dolore, per essere come Lui e poi si continua ad amare facendo la volontà di Dio, il dolore, se spirituale, sparisce; se fisico, diviene giogo leggero.
Il nostro amore puro al contatto col dolore, lo tramuta in amore; in certo modo lo divinizza, quasi prosegue in noi – se lo possiamo dire – la divinizzazione che Gesù fece del dolore.
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E, dopo ogni incontro con Gesù abbandonato, amato, trovo Dio in modo nuovo, più faccia a faccia, più aperto, in un’unità più piena. Tornano la luce e la gioia e, con la gioia, la pace che è frutto dello spirito.Quella luce, quella gioia, quella pace fiorite dal dolore amato colpiscono e sciolgono anche le persone più difficili. Inchiodati in croce si è madri e padri di anime. Effetto è la massima fecondità.
Come scrive Olivier Clément: «L’abisso, aperto per un istante da quel grido, si riempie del grande soffio della resurrezione». Si annulla ogni disunità, traumi e spacchi sono colmati, risplende la fraternità universale, fioriscono miracoli di risurrezione, nasce una nuova primavera nella Chiesa e nell’umanità.
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