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Vangelo del giorno
Sabato 23 Novembre 2024

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

(Lc. 20,27-40) 

Bibbia – CEI 2008
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Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Attualità

Da “Il dialogo ” – Periodico di Monteforte Irpinino

IL MUCCHIO COME MITO   (di Aldo Antonelli )

 follaestasi 

«Il mucchio come mito!».
Le adunate in piazza san Pietro? O quelle, sterminate, delle GMG in giro per il mondo? O quelle, affollate ed anche tragiche, che fanno da contorno ai viaggi papali, Africa o non Africa?
Ma anche le ammucchiate dei figuranti alla Fiera di Roma!

Siamo ormai alla celebrazione quantitativa delle cose e delle persone. Non è il sapore dei soldi che interessa, ma il loro ammontare. Non è la voce delle persone che si vuole ascoltare, ma il loro peso numerico.

 

“Il mucchio come mito” è il titolo che riporta un articolo non firmato del numero 17/1953 della rivista “Adesso” di don Primo Mazzolari. Molto probabilmente (lo si vede anche dallo stile) è di don Mazzolari stesso.
Nel mese di settembre del 1953, nella stessa domenica, un milione di cattolici si erano radunati a Torino per il Congresso Eucaristico, oltre settecentomila a Milano per la festa dell'”Unità” e duecentomila a Spalato per ascoltare Tito…
Don Primo che fa?
Prende la penna e scrive:

Questo il bilancio di una qualunque domenica del settembre 1953.
Non ne siamo stupiti, ma non siamo contenti, anche se il Congresso di Torino batte il record.
Appunto perché noi cattolici siamo ancora davanti in questa gara di mobilitazione delle masse, noi per primi non possiamo essere contenti dell’andazzo.
Le moltitudini non ci fanno paura: ci fa paura la fiducia che esse portano dietro e che ispirano alle loro guide. È una fiducia che, secondo me, contrasta con le regole dello spirito e s’avvicina a quelle del materialismo.
Il materialismo, infatti, s’insinua,e fa capolino da ogni dove, e il fasto, il rumore, la quantità ne sono gli araldi. La tecnica poi, che fa muovere genti e suoni, senza fatica ma non senza spesa, e che dispone di ritrovati incantatori, che distraggono invece di raccogliere, eccitano invece di purificare, si è messa volentieri a servizio di questo spirito di massa.
Per rimanere un attimo in casa nostra, penso che molti credenti troveranno un pò arduo portare come motivo di massa certi sublimi Misteri, che un tempo venivano circondati da gelose e arcane iniziazioni.
Non vorrei essere frainteso. Io non contesto il diritto di esprimere la propria fede e di esternare la propria adorazione, e neppure di sottrarre il popolo cristiano al dovere di fare ciò che gli altri fanno, e che potrebbe rappresentare un ‘”aggiornamento d’apostolato”. Mi permetto soltanto di chiedere se noi cattolici possiamo metterci in questo piano di gara che ci porta fatalmente all’esaltazione dei valori di massa.
Questo stare insieme a quel modo per un’ora, per una giornata, questo affiancarsi e pigiarsi assomiglia al quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum?
Non tutto quello che gli altri fanno è bene fare: non tutti i diritti sono usabili per chi guarda oltre il diritto.
In certi favolosi ammassamenti di qualsiasi genere, si ha l’impressione che il motivo centrale divenga piuttosto un pretesto per uno spiegamento di forze o per un torneo oratorio, che deve per forza sfociare nella retorica.
Lamentiamo il disamoramento del quotidiano, si chiami esso parrocchia, casa, ecc., e siamo noi che ne deformiamo il gusto con questa incessante mobilitazione verso lo straordinario e lo sbalorditivo.
Ma il fatto di questa strutturazione di massa investe in pieno il problema dell’educazione del popolo e il progressivo svuotamento dell’uomo. La personalità sta diventando una larva, e un pò anche per colpa nostra, nonostante il daffare verbale per difenderla e consolidarla.
Ieri avevano ragione i più grossi portafogli: oggi, hanno ragione le masse più grosse, i mucchi più grossi.
Non abbiamo fatto molta strada e neppur cambiato strada. Prepotenza del danaro o sopraffazione del numero, se non è zuppa è pan bagnato: una strada cioè che ci dispensa dall’essere ragionevoli e dal rispettare tanto coloro che sono senza soldi come coloro che sono in pochi.
Senz’accorgersene, il mucchio diventa il mito: ed esso va accresciuto e difeso ad ogni costo. E chi fa parte del mucchio s’abitua a non esistere, a non parlare, a non agire se non come mucchio.
La democrazia del mucchio non è la democrazia: come non è la religione la religione del mucchio.Il mucchio è falange, legione, rullo compressore, non comunità; elemento di urto, non comunione.
Le masse, come i blocchi non si cercano se non per sfidarsi, urtarsi, annientarsi. Dietro. un ordinamento politico di masse o di blocchi, non c’è che la guerra.
Il pericolo della massa è avvertito purtroppo anche da pochi cristiani, i quali trovano più facile ammucchiare che educare, sbalordire più che elevare.
Cristo è venuto a liberare l’uomo da ogni schiavitù, anche dalla schiavitù della massa.

mano_acqua

Con un appello ai 20 Paesi più ricchi del pianeta per una riforma del sistema economico condivisa con le nazioni più povere e le ONG si è chiuso a Belem, in Brasile il IX forum sociale mondiale. Vi hanno partecipato 130 mila persone provenienti da 142 paesi. Rappresentavano sindacati, associazioni, Chiese e Ong. Dopo sei giorni di dibattito su crisi, povertà e ambiente, ieri è stata presentata dall’assemblea finale una carta, firmata anche dal Consiglio mondiale delle Chiese, che offre proposte alternative per il futuro dell’economia. La carta di Belem chiede di introdurre la tassazione sulle transazioni finanziarie, di alzare le tasse sulle attività produttive inquinanti e sui grandi patrimoni. Inoltre, rilancia la proposta di vigilare sulle speculazioni finanziarie su cibo e d energia. Le proposte saranno presentate a Londra il 28 marzo in una grande manifestazione mondiale indetta in occasione della riunione dei “big” del G20. In quella data farà il suo esordio Barack Obama e, chiusa la stagione di contrapposizione ideologica con l’America di Bush, dopo Belem si apre una nuova era anche per la società civile planetaria.

 

CONFERÊNZA NACIONAL DEI VESCOVI DEL BRASILE

CNBB – Regional Norte 2

CNPJ: 33.685.686/0013-94

Trav. Barão do Triunfo, 3151. Marco. CEP: 66093-050

Cx. Postal, 1359. CEP 66017-970

Fone: (91) 3266.0055. Fax (91) 3266.0062

Belém – Pará

 

 

CARTA DI BELÉM

Acqua come diritto universale e bene pubblico

            “Lo Spirito del Signore sta sopra le acque” (Gn 1,2)

           

Interpellati dal Forum Social Mundial che ci sfida alla costruzione di “un altro mondo possibile”, le Chiese Cristiane sono coscienti della propria responsabilità per la formazione di nuovi soggetti ecclesiali e sociali che contribuiscano alla sua costruzione.

            Per questa ragione ci siamo riuniti a Belém-PA, nel Forum Ecumenico delle Acque, il 26 gennaio 2009.

            Le realtà ecclesiali e i movimenti sociali impegnati nella difesa dell’Acqua come diritto fondamentale della vita, vogliono condividere con tutti, gruppi e comunità, le nostre proposte di azione unitaria.

1)      Che ci sia un impegno effettivo di tutte le comunità nella conoscenza, divulgazione e appoggio alla Dichiarazione Ecumenica delle Acque;

2)      Che siano formate delle Reti Ecumeniche delle Acque in tutte le comunità coll’obiettivo di promuovere l’educazione di base e la difesa delle acque;

3)      Che nell’ambito internazionale le Chiese Cristiane e i movimenti sociali si impegnino nella promozione del diritto all’acqua e ai servizi igienici per tutti;

4)      Appoggiamo la gestione partecipativa e solidale delle risorse idriche transfrontaliere:

5)      Manifestiamo la nostra preoccupazione per la costruzione del complesso idroelettrico sul  Rio Madeira, a Porto Velho-RO, pe le sue conseguenze per l’ambiente e le popolazioni rivierasche;

6)      Che sia articolata e efficace il cambiamento nella legislazione brasiliana riguardo alle acque minerali, che si cessi di trattarle come minerale sotto la tutela del DNPM (Dipartimento Nazionale di Produzione Minerale) e venga trattata come risorsa idrica speciale.

7)      Che tutte le comunità cristiane e i movimenti sociali popolari registrino le proprie esperienze e pratiche in difesa dell’acqua e le mandino al CONIC e alla CNBB, al Relatore Indipende dell’ONU per l’Acqua, per contribuire alla costruzione di uma convenzione internazionale del Diritto Umano all’Acqua;  

8)      Ci congratuliamo com il popolo boliviano che ha approvato, nella Parte 4, Títolo 2, Capítolo 5º della  sua Costituzione, la protezione dell’acqua come diritto fondamentale della vita;

9)      Invitiamo tutti i paesi del mondo a inserire anch’essi nella loro legislazione il diritto all’Acqua come diritto universale e bene pubblico.

 

Solidali com tutto il creato che geme aspettando la sua redenzione e il manifestarsi dei figli di Dio, sottoscriviamo questo documento che troverà eco in tutti i cuori di quelli che amano la vita.

Belém 26 gennaio 2009.

 

CONIC – Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane

CNBB – Conferenza Nazionale dei vescovi del Brasile

eluana Oggi, con molto umiltà, dobbiamo chinare il nostro capo. Dobbiamo chiedere a Dio che ci illumini per cercare di superare i tanti ostacoli della vita. Camminiamo dopo tanto clamore. Ora c’è il silenzio. Parlino le coscienze»: «Ora tu sei libera e puoi riposare in pace , ..sei vicina a Dio e quindi conosci la verità. Ti prego  di illuminarci tutti e soprattutto di stare vicino alla tua mamma e al tuo papà. Dal cielo fai sentire la tua presenza. Ti porteremo sempre nel cuore». Con queste parole il saluto  ad Eluana  dal suo umile e semplice parroco Don Puntel che ha  anche letto un breve messaggio dell’arcivescovo di Udine, Pietro Brollo. «Vi siamo sempre stati vicino … e soprattutto siamo stati vicini a papà Beppino e mamma Saturna. Eluana merita una grande manifestazione di affetto. Lei ci ha parlato e ci ha interrogato. Tu ora sei nella verità … e conosci più di noi la verità».

   Non abbiamo voluto mai parlare di Eluana per grande e sacro rispetto per lei e i suoi cari.

  Abbiamo visto molti ergersi a giudici  … non abbiamo mai sentito parlare di misericordia.  E, purtroppo, la chiesa gerarchica oggi non è più credibile perché non è misericordiosa.

  Delle tante cose dette, soprattutto alla fine, mi piace ricordare l’intervento di Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale su Repubblica in un articolo di Giuseppe d’Avanzo


 “ …In un caso controverso dove sono in gioco dati della vita così legati alla tragicità della condizione umana è fuori luogo usare un linguaggio violento, così impietoso, così incontrollato, così ingiusto. Non ho ascoltato, sul versante opposto, che vi sia chi ragiona dell’esistenza di un “partito della crudeltà” opposto a “un partito della pietà”. Credo che in vicende così dolorose debbano trovare espressione parole più adeguate e controllate, più cristiane”.

 “Le posizioni in tema di etica possono essere prese in due modi. In nome della verità e del dogma, con regole generali e astratte; oppure in nome della carità e della com-passione, con atteggiamenti e comportamenti concreti. Nella Chiesa cattolica, ovviamente, ci sono entrambe queste posizioni. Nelle piccole cerchie, prevale la carità; nelle grandi, la verità. Quando le prime comunità cristiane erano costituite da esseri umani in rapporto gli uni con gli altri, la carità del Cristo informava i loro rapporti. La “verità” cristiana non è una dottrina, una filosofia, una ideologia. Lo è diventata dopo. Gesù di Nazareth dice: io sono la verità. La verità non è il dogma, è un atteggiamento vitale. Quando la Chiesa è diventata una grande organizzazione, un’organizzazione “cattolica” che governa esseri umani senza entrare in contatto con loro, con la loro particolare, individuale esperienza umana, ha avuto la necessità di parlare in generale e in astratto. È diventata, – cosa in origine del tutto impensabile – una istituzione giuridica che, per far valere la sua “verità”, ha bisogno di autorità e l’autorità si esercita in leggi: leggi che possono entrare in conflitto con quelle che si dà la società. Chi pensa e crede diversamente, può solo piegarsi o opporsi. Un terreno d’incontro non esiste. “

 ” Una legge comune è possibile solo se si abbandonano i dogmi, se si affrontano i problemi non brandendo quella verità che consente a qualcuno di parlare di “omicidio” e “boia”, ma in una prospettiva di carità. La carità è una virtù umana, che trascende di gran lunga le divisioni delle ideologie e dei credi religiosi o filosofici. La carità non ha bisogno né di potere, né di dogmi, né di condanne, ma si nutre di libertà e responsabilità. Dico la stessa cosa in altro modo: un approdo comune sarà possibile soltanto se prevarrà l’amore cristiano contro la verità cattolica”.

 “Giovanni Botero nella sua Della Ragione di Stato del 1589 scriveva, a proposito dei Modi di propagandar la religione: “Tra tutte le leggi, non ve n’è alcuna più favorevole a’ Prencipi, che la Christiana: perché questa sottomette loro, non solamente i corpi e le facoltà de’sudditi, dove conviene, ma gli animi ancora; e lega non solamente le mani, ma gli affetti ancora e i pensieri”. Botero era uomo della controriforma. Purtroppo, c’è chi pensa ancora così, tra i nostri moderni “prencipi”. Essi potrebbero far loro il motto di un discepolo di Botero che scriveva: “questa è la ragion di stato, fratel mio, obbedire alla Chiesa cattolica”. Ora, se l’obbedienza alla Chiesa cattolica è la ragion di stato, è chiaro che i laici non troveranno mai un approdo comune con costoro.

 

“Il Concilio Vaticano II ha rovesciato la tradizione della Chiesa come potere alleato dello Stato, ha voluto liberarla da questo legame tutt’altro che evangelico. Non si propose di proteggere o conservare i suoi privilegi, ancorché legittimamente ricevuti, e invitò i cattolici a un impegno responsabile nella società, uomini con gli altri uomini, con la fiducia riposta nel libero esercizio delle virtù cristiane e nell’incontro con gli “uomini di buona volontà”, senza distinzione di fedi. Fu “religione delle persone” e non surrogato di una religione civile. Il cattolicesimo-religione civile sembra invece, oggi, essere assai gradito per i vantaggi immediati che possono derivare sia agli uomini di Chiesa che a quelli di Stato”.

 

“Il mondo cattolico enfatizza spesso il valore della dimensione comunitaria della vita, soprattutto nella famiglia. E’ la convinzione che induce la Chiesa a invocare a gran voce la cosiddetta sussidiarietà: lo Stato intervenga soltanto quando non esistono strutture sociali che possono svolgere beneficamente la loro funzione. Mi chiedo perché, quando la responsabilità, la presenza calda e diretta della famiglia, nelle tragiche circostanze vissute dalla famiglia Englaro, dovrebbero ricevere il più grande riconoscimento, la Chiesa – con una contraddizione patente – chiude alla famiglia e invoca l’intervento dello Stato; alla com-passione di chi è direttamente coinvolto in quella tragedia, preferisce i diktat della legge, dei tribunali, dei carabinieri. Sia chiaro: lo Stato deve vigilare contro gli abusi – proprio per evitare il rischio espresso dal presidente del consiglio con l’espressione, in concreto priva di compassione, “togliersi un fastidio” – ma osservo come la legge che la Chiesa chiede assorbe nella dimensione statale tutte le decisioni etiche coinvolte: questo è il contrario della sussidiarietà e assomiglia molto allo Stato etico, allo Stato totalitario”.

“Oggi la politica è succuba della Chiesa, ma domani potrebbe accadere l’opposto. Se la politica è diventata – come mi pare – mezzo al solo fine del potere, potere per il potere, attenzione per la Chiesa! Essa, la Chiesa del dogma e della verità, può essere un alleato di un potere che oggi ha bisogno, strumentalmente, di legittimazione morale. Il compromesso convince i due poteri a cooperare. Ma domani? Il potere dell’uno, rafforzato e soddisfatto, potrebbe fare a meno dell’altra. “.

“‘Rompiamo il silenziò è già stato sottoscritto da centosessantamila cittadini. È la dimostrazione che, per fortuna, la nostra società non è un corpo informe, conserva capacità di reazione. L’appello ha tre ragioni. E’ uno sfogo liberatorio, innanzitutto: devo dire a qualcuno che non sono d’accordo. E’ poi un autorappresentarsi non come singoli, ma come comunità di persone. Il terzo obiettivo è rendersi consapevoli, voler guardare le cose non in dettagli separati, è un volersi raffigurare un quadro. A volte abbiamo la tendenza a evitare di guardare le cose nel loro insieme. E’ quasi un istinto di sopravvivenza distogliere lo sguardo dalla disgrazia che ci può capitare. L’appello prende posizione. Si accontenta di questo. Se mi chiede come e dove diventerà concreta questa presa di coscienza, le rispondo che ognuno ha i suoi spazi, il lavoro, la scuola, il partito, il voto. Faccia quel che deve, quel che crede debba essere fatto per sconfiggere la rassegnazione”.

 


  Forse potrà pure tornare utile , per una pacata riflessione, ricordare la parte finale della dichiarazione  sull’eutanasia  della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede  del  il 5 maggio 1980.

  È molto importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignità della persona umana e la concezione cristiana della vita contro un tecnicismo che rischia di divenire abusivo. Di fatto, alcuni parlano di “diritto alla morte”, espressione che non designa il diritto di procurarsi o farsi procurare la morte come si vuole, ma il diritto di morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana. Da questo punto di vista, l’uso dei mezzi terapeutici talvolta può sollevare dei problemi.

In molti casi la complessità delle situazioni può essere tale da far sorgere dei dubbi sul modo di applicare i principii della morale. Prendere delle decisioni spetterà in ultima analisi alla coscienza del malato o delle persone qualificate per parlare a nome suo, oppure anche dei medici, alla luce degli obblighi morali e dei diversi aspetti del caso.

Ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi curare. Coloro che hanno in cura gli ammalati devono prestare la loro opera con ogni diligenza e somministrare quei rimedi che riterranno necessari o utili.

Si dovrà però, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio possibile? Finora i moralisti rispondevano che non si è mai obbligati all’uso dei mezzi “straordinari”. Oggi però tale risposta, sempre valida in linea di principio, può forse sembrare meno chiara, sia per l’imprecisione del termine che per i rapidi progressi della terapia. Perciò alcuni preferiscono parlare di mezzi “proporzionati” e “sproporzionati”. In ogni caso, si potranno valutare bene i mezzi mettendo a confronto il tipo di terapia, il grado di difficoltà e di rischio che comporta, le spese necessarie e le possibilità di applicazione, con il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali.

Per facilitare l’applicazione di questi principii generali si possono aggiungere le seguenti precisazioni:

– In mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell’ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene dell’umanità.

– È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medici veramente competenti; costoro potranno senza dubbio giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre.

– È sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Non si può, quindi, imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere ad un tipo di cura che, per quanto già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio: significa piuttosto o semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volontà di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla collettività.

– Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi. Perciò il medico non ha motivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza ad una persona in pericolo.

 

   Per le altre tante Eluane che sono tra noi un invito ai politici al rispetto più grande per l’uomo  che nella sua esistenza dovrà obbligatoriamente, con dignità, fare esperienza della vita e della morte.

   E così come ci preoccupiamo che la nascita avvenga nel miglio modo possibile ( sia per il figlio quanto per i genitori e parenti tutti )  facciamo si che gli stessi sentimenti accompagnino l’esperienza, non rinunciabile, della morte che coinvolge colui che va via e quanti restano.

obama  Tutto all’insegna della sobrietà e dell’essenziale sia la formula del giuramento sia il discorso di insediamento, durato poco più di 20 minuti.

Quanta differenza tra la prolissità dei nostri politici che con le loro contorsioni linguistiche hanno e continuano ad allontanare  dalla politica.

  Riportiamo il testo del discorso di Barack Obama presidente

 

’Miei concittadini.
Sono qui oggi pieno di umiltà di fronte al compito che abbiamo di fronte, grato per la fiducia che mi avete dimostrato, conscio dei sacrifici compiuti dai nostri antenati. Ringrazio il presidente Bush per il suo servizio alla nostra nazione, come anche per la generosità e la cooperazione che ha dimostrato in questo periodo di transizione.

 Quarantaquattro americani adesso hanno pronunciato il giuramento presidenziale, parole che sono state dette in tempi di prosperità e nelle acque tranquille della pace. Ma ogni tanto il giuramento è pronunciato in mezzo a nuvole che si addensano e a temporali furiosi. In questi momenti, l’America è andata avanti non solo grazie alla abilità e alla lungimiranza di chi la guidava ma perchè ‘Noi, il popolo’, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati, e fedeli ai nostri documenti fondatori.

 Così è stato. Così deve essere in questa generazione di americani. Che siamo nel mezzo di una crisi ormai è stato ben capito. Il nostro Paese è in guerra, contro una rete dai lunghi tentacoli di violenza e di odio. La nostra economia è gravemente indebolita, conseguenza della rapacità e della irresponsabilità di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacità di fare scelte difficili e preparare il paese per una nuova era. Alcuni hanno perso la casa, altri il lavoro, imprese sono fallite. Il nostro sistema sanitario è troppo costoso, le nostre scuole non funzionano per troppi, e ogni giorno ci porta altre prove che il modo in cui usiamo l’energia rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta.

 Questi sono gli indicatori della crisi, misurabili con le cifre e le statistiche. Meno misurabile ma non meno profonda è la perdita di fiducia in tutta la nostra terra, l’insistente timore che il declino dell’America sia inevitabile, e che la nuova generazione dovrà abbassare le sue mire.

 Oggi vi dico che le sfide che affrontiamo sono reali. Sono serie e sono molte. Non sarà possibile risolverle facilmente né in breve tempo. Ma sappi questo, America: le risolveremo. In questo giorno, ci riuniamo perché abbiamo scelto la speranza invece della paura, l’unità d’intenti invece del conflitto e della discordia.
In questo giorno, veniamo a proclamare la fine delle meschine divergenze e delle false promesse, delle recriminazioni e dei dogmi usurati che per troppo tempo hanno strangolato la nostra politica.

 Rimaniamo una giovane nazione, ma nelle parole delle Scritture, è giunto il momento di mettere da parte le cose da bambino  Lettera Ai Corinzi, 13:11). E’ giunto il momento di riaffermare il nostro spirito; di scegliere la nostra storia migliore, di sostenere quel dono prezioso, quella nobile idea passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti sono uguali, tutti sono liberi, tutti meritano l’opportunità di perseguire la loro piena felicità.

 Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, capiamo che la grandezza non va mai data per scontata. Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di scorciatoie o di ribassi. Non è stato un sentiero per i deboli di cuore, per chi preferisce l’ozio al lavoro, o cerca solo i piaceri delle ricchezze e della celebrità. E’ stato invece il percorso di chi corre rischi, di chi agisce, di chi fabbrica: alcuni celebrato ma più spesso uomini e donne oscuri nelle loro fatiche, che ci hanno portato in cima a un percorso lungo e faticoso verso la prosperità e la libertà.

 Per noi hanno messo in valigia le poche cose che possedevano e hanno traversato gli oceani alla ricerca di una nuova vita. Per noi hanno faticato nelle fabbriche e hanno colonizzato il West; hanno tollerato il morso della frusta e arato il duro terreno. Per noi hanno combattuto e sono morti in posti come Concord e Gettysburg, la Normandia e Khe Sahn.

 Ancora e ancora questi uomini e queste donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato fino ad avere le mani in sangue, perché noi potessimo avere un futuro migliore. Vedevano l’America come più grande delle somme delle nostre ambizioni individuali, più grande di tutte le differenze di nascita o censo o partigianeria’. ‘Questo è il viaggio che continuiamo oggi.

 Rimaniamo il paese più prosperoso e più potente della Terra. I nostri operai non sono meno produttivi di quando la crisi è cominciata. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri beni e servizi non meno necessari della settimana scorsa o del mese scorso o dell’anno scorso. Le nostre capacità rimangono intatte. Ma il nostro tempo di stare fermi, di proteggere interessi meschini e rimandare le decisioni sgradevoli, quel tempo di sicuro è passato. A partire da oggi, dobbiamo tirarci su, rimetterci in piedi e ricominciare il lavoro di rifare l’America.

 Perché ovunque guardiamo, c’è lavoro da fare. Lo stato dell’economia richiede azioni coraggiose e rapide, e noi agiremo: non solo per creare nuovi lavori ma per gettare le fondamenta della crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche, le linee digitali per nutrire il nostro commercio e legarci assieme. Ridaremo alla scienza il posto che le spetta di diritto e piegheremo le meraviglie della tecnologia per migliorare le cure sanitarie e abbassarne i costi. Metteremo le briglie al sole e ai venti e alla terra per rifornire le nostre vetture e alimentare le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole e i college e le università per soddisfare le esigenze di una nuova era.

 Tutto questo possiamo farlo. E tutto questo faremo. Ci sono alcuni che mettono in dubbio l’ampiezza delle nostre ambizioni, che suggeriscono che il nostro sistema non può tollerare troppi piani grandiosi. Hanno la memoria corta. Perché hanno dimenticato quanto questo paese ha già fatto: quanto uomini e donne libere possono ottenere quando l’immaginazione si unisce a uno scopo comune, la necessità al coraggio.

 Quello che i cinici non riescono a capire è che il terreno si è mosso sotto i loro piedi, che i diverbi politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non hanno più corso. La domanda che ci poniamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funziona: se aiuta le famiglie a trovare lavori con stipendi decenti, cure che possono permettersi, una pensione dignitosa. Quando la risposta è sì, intendiamo andare avanti. Quando la risposta è no, i programmi saranno interrotti.

 E quelli di noi che gestiscono i dollari pubblici saranno chiamati a renderne conto: a spendere saggiamente, a riformare le cattive abitudini, e fare il loro lavoro alla luce del solo, perché solo allora potremo restaurare la fiducia vitale fra un popolo e il suo governo’. 

 ‘Né la domanda è se il mercato sia una forza per il bene o per il male. Il suo potere di generare ricchezza e aumentare la libertà non conosce paragoni, ma questa crisi ci ha ricordato che senza occhi vigili, il mercato può andare fuori controllo, e che un paese non può prosperare a lungo se favorisce solo i ricchi. Il successo della nostra economia non dipende solo dalle dimensioni del nostro prodotto interno lordo, ma dall’ampiezza della nostra prosperità, dalla nostra capacità di ampliare le opportunità a ogni cuore volonteroso, non per beneficenza ma perché è la via più sicura verso il bene comune.

 Per quel che riguarda la nostra difesa comune, respingiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali. I Padri Fondatori, di fronte a pericoli che facciamo fatica a immaginare, prepararono un Carta che garantisse il rispetto della legge e i diritti dell’uomo, una Carta ampliata con il sangue versato da generazioni. Quegli ideali illuminano ancora il mondo e non vi rinunceremo in nome del bisogno. E a tutte le persone e i governi che oggi ci guardano, dalle capitali più grandi al piccolo villaggio in cui nacque mio padre, dico: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e che siamo pronti di nuovo a fare da guida.

 Ricordate che le generazioni passate sconfissero il fascismo e il comunismo non solo con i carri armati e i missili, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Capirono che la nostra forza da sola non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare come ci pare. Al contrario, seppero che il potere cresce quando se ne fa un uso prudente; che la nostra sicurezza promana dal fatto che la nostra causa giusta, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità dell’umiltà e della moderazione.

 Noi siamo i custodi di questa eredità. Guidati ancora una volta da questi principi, possiamo affrontare quelle nuove minacce che richiedono sforzi ancora maggiori – e ancora maggior cooperazione e comprensione fra le nazioni. Inizieremo a lasciare responsabilmente l’Iraq al suo popolo, e a forgiare una pace pagata a caro prezzo in Afghanistan. Insieme ai vecchi amici e agli ex nemici, lavoreremo senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e allontanare lo spettro di un pianeta surriscaldato.

 Non chiederemo scusa per la nostra maniera di vivere, né esiteremo a difenderla, e a coloro che cercano di ottenere i loro scopi attraverso il terrore e il massacro di persone innocenti, diciamo che il nostro spirito è più forte e non potrà essere spezzato. Non riuscirete a sopravviverci, e vi sconfiggeremo.

 Perché sappiamo che il nostro multiforme retaggio è una forza, non una debolezza: siamo un Paese di cristiani, musulmani, ebrei e indù – e di non credenti; scolpiti da ogni lingua e cultura, provenienti da ogni angolo della terra. E dal momento che abbiamo provato l’amaro calice della guerra civile e della segregazione razziale, per emergerne più forti e più uniti, non possiamo che credere che odii di lunga data un giorno scompariranno; che i confini delle tribù un giorno si dissolveranno; che mentre il mondo si va facendo più piccolo, la nostra comune umanità dovrà venire alla luce; e che l’America dovrà svolgere un suo ruolo nell’accogliere una nuova era di pace.

 Al mondo islamico diciamo di voler cercare una nuova via di progresso, basato sull’interesse comune e sul reciproco rispetto. A quei dirigenti nel mondo che cercano di seminare la discordia, o di scaricare sull’Occidente la colpa dei mali delle loro società, diciamo: sappiate che il vostro popolo vi giudicherà in base a ciò che siete in grado di costruire, non di distruggere. A coloro che si aggrappano al potere grazie alla corruzione, all’inganno, alla repressione del dissenso, diciamo: sappiate che siete dalla parte sbagliata della Storia; ma che siamo disposti a tendere la mano se sarete disposti a sciogliere il pugno.

 Ai popoli dei Paesi poveri, diciamo di volerci impegnare insieme a voi per far rendere le vostre fattorie e far scorrere acque pulita; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quei Paesi che come noi hanno la fortuna di godere di una relativa abbondanza, diciamo che non possiamo più permetterci di essere indifferenti verso la sofferenza fuori dai nostri confini; né possiamo consumare le risorse del pianeta senza pensare alle conseguenze. Perché il mondo è cambiato, e noi dobbiamo cambiare insieme al mondo.

 Volgendo lo sguardo alla strada che si snoda davanti a noi, ricordiamo con umile gratitudine quei coraggiosi americani che in questo stesso momento pattugliano deserti e montagne lontane. Oggi hanno qualcosa da dirci, così come il sussurro che ci arriva lungo gli anni dagli eroi caduti che riposano ad Arlington: rendiamo loro onore non solo perché sono custodi della nostra libertà, ma perché rappresentano lo spirito di servizio, la volontà di trovare un significato in qualcosa che li trascende.

 Eppure in questo momento – un momento che segnerà una generazione – è precisamente questo spirito che deve animarci tutti. Perché, per quanto il governo debba e possa fare, in definitiva sono la fede e la determinazione del popolo americano su cui questo Paese si appoggia. E’ la bontà di chi accoglie uno straniero quando le dighe si spezzano, l’altruismo degli operai che preferiscono lavorare meno che vedere un amico perdere il lavoro, a guidarci nelle nostre ore più scure. E’ il coraggio del pompiere che affronta una scala piena di fumo, ma anche la prontezza di un genitore a curare un bambino, che in ultima analisi decidono il nostro destino.

 Le nostre sfide possono essere nuove, gli strumenti con cui le affrontiamo possono essere nuovi, ma i valori da cui dipende il nostro successo – il lavoro duro e l’onestà, il coraggio e il fair play, la tolleranza e la curiosità, la lealtà e il patriottismo – queste cose sono antiche. Queste cose sono vere.

 Sono state la quieta forza del progresso in tutta la nostra storia. Quello che serve è un ritorno a queste verità. Quello che ci è richiesto adesso è una nuova era di responsabilità – un riconoscimento, da parte di ogni americano, che abbiamo doveri verso noi stessi, verso la nazione e il mondo, doveri che non accettiamo a malincuore ma piuttosto afferriamo con gioia, saldi nella nozione che non c’è nulla di più soddisfacente per lo spirito, di più caratteristico della nostra anima, che dare tutto a un compito difficile.

 Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza. Questa è la fonte della nostra fiducia: la nozione che Dio ci chiama a forgiarci un destino incerto. Questo il significato della nostra libertà e del nostro credo: il motivo per cui uomini e donne e bambine di ogni razza e ogni fede possono unirsi in celebrazione attraverso questo splendido viale, e per cui un uomo il cui padre sessant’anni fa avrebbe potuto non essere servito al ristorante oggi può starvi davanti a pronunciare un giuramento sacro.

 E allora segnamo questo giorno col ricordo di chi siamo e quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno della nascita dell’America, nel più freddo dei mesi, un drappello di patrioti si affollava vicino a fuochi morenti sulle rive di un fiume gelato. La capitale era abbandonata. Il nemico avanzava, la neve era macchiata di sangue.

 E nel momento in cui la nostra rivoluzione più era in dubbio, il padre della nostra nazione ordinò che queste parole fossero lette al popolo: ‘Che si dica al mondo futuro… Che nel profondo dell’inverno, quando nulla tranne la speranza e il coraggio potevano sopravvivere… Che la città e il paese, allarmati di fronte a un comune pericolo, vennero avanti a incontrarlo’.

 America. Di fronte ai nostri comuni pericoli, in questo inverno delle nostre fatiche, ricordiamoci queste parole senza tempo. Con speranza e coraggio, affrontiamo una volta ancora le correnti gelide, e sopportiamo le tempeste che verranno. Che i figli dei nostri figli possano dire che quando fummo messi alla prova non ci tirammo indietro né inciampammo; e con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di Dio con noi, portammo avanti quel grande dono della libertà, e lo consegnammo intatto alle generazioni future’.

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