Attualità
Non come una protesta o una bestemmia levate contro il cielo, ma come il gemito di un muto dolore, di un’indicibile pena, che andava facendosi invocazione, supplica struggente, attesa. Tutta qui la grandezza e la dignità di questo popolo forte, di questo popolo gentile: saper sopportare il dolore a testa alta; saper credere e amare anche nell’ora più buia; confermare al Dio della vita una fedeltà, scritta nei secoli, raccontata nella vicenda di innumerevoli santi, scolpita nella tenacia degli anziani, nella dignità degli adulti, nella laboriosità di tutti, perfino nei sogni meravigliosi dei giovani.
In quel Venerdì Santo non potevo non riconoscere nella passione del popolo d’Abruzzo la passione di Cristo. E quando, a sera di quello stesso giorno delle esequie dei morti uccisi dal sisma, decine di migliaia di persone hanno accompagnato con me a Chieti la processione del Cristo morto, le note toccanti del «Miserere» del Selechy mi son parse tradurre il grido del cuore di tutti: «Miserere», abbi pietà, Signore, di questo popolo, di ciascuno, di tutti. Abbi pietà dei morti e accoglili nelle Tue braccia, abbi pietà dei vivi che sono nel dolore di chi ha perso gli affetti più cari o il tutto di una vita. Ed ecco che quel dolore andava esprimendosi in amore, in una solidarietà vissuta, nella gara a fare qualcosa per chi ha bisogno di tutto. Impressionante non solo la folla dei volontari, la macchina dell’organizzazione civile, la presenza della Caritas, ma anche l’umile carità degli stessi terremotati gli uni per gli altri, a cominciare da quanti – feriti dal lutto nel più profondo del cuore – non si sono risparmiati per soccorrere, lenire, curare.
Verrà il tempo in cui le responsabilità umane nella tragedia dovranno essere accertate e perseguite, come è giusto che sia affinché non si ripeta più che qualcuno muoia perché altri hanno lucrato sugli appalti, costruendo con materiale scandente o senza adeguate misure di prevenzione antisismica. Viene – ed è già ora – il tempo in cui ogni approfittatore della sciagura altrui dovrà essere fermato e reso inoffensivo. L’attuale, però, è soprattutto il momento della prossimità, dello stare accanto vigile e generoso: e questo lo possiamo fare tutti, visitando gli sfollati nelle strutture di accoglienza, portando loro i piccoli aiuti che servono alla vita quotidiana, contribuendo ciascuno col suo sacrificio alle raccolte in atto per l’immediato e per il futuro. L’ora di una carità fattiva, intelligente, organizzata, coordinata dagli indispensabili centri operativi.
L’ora di un amore in cui i primi bagliori della resurrezione, dopo il compianto del Cristo Morto nei morti e sofferente nei dolenti, stanno profilandosi.
Qui che accanto alla fede orante e alla carità operosa si affaccia nel nostro popolo martoriato la virtù della speranza: l’Abruzzo messo in ginocchio dal terremoto deve risorgere. Le migliaia di giovani che ho visto in questi giorni, i volti sorridenti dei bambini che mi mandavano saluti e bacetti durante la grande processione del Venerdì Santo, sono già il segno di questa speranza. L’Aquila volerà ancora, alta nel cielo della nostra terra! E noi saremo con lei, con la sua gente, con la nostra gente.
La devastazione della guerra, dei terremoti e delle epidemie non ha mai fermato la rinascita del nostro popolo: non sarà ora a fermarci quest’immane tragedia. Nel cuore di chi crede, dei tanti che credono sperando e amando, questa speranza è illuminata dall’alba della Pasqua di Gesù. Il Dio crocifisso che risorge alla vita porta con sé i prigionieri della morte, risolleva i caduti, rafforza le capacità di chi sa di volere e dovere andare avanti. L’impossibile possibilità di Dio è certezza nel cuore di chi vive questa Pasqua.
La Pasqua del Cristo della nostra fede, è la nostra Pasqua, più che mai umile e vera Pasqua del nostro Abruzzo, forte nella prova, gentile nell’amore e nella tenerezza per i più deboli. «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio»: perché Tu, o Signore, «getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati. Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà, ad Abramo il tuo amore, come hai giurato ai nostri padri fin dai tempi antichi» (dal libro del profeta Michea 6, 8 e 7, 19s).
(12 aprile 2009)
Salto da Divisa, Pasqua 2009
ALLELUIA !
Fratelli e amici,
l´ alleluia pasquale , che risuona in questi giorni nelle nostre celebrazioni della Risurrezione del Signore , ci ricorda che l´ ultima parola non é del male , della violenza e della morte , ma della vita , della speranza e dell´amore.
É giá passato un anno da quando il container contenente il progetto della ceramica, frutto di tanta speranza e tante collaborazioni , arrivato in Brasile , é stato inghiottito da un vero buco nero.
É inutile piangere sul latte versato. Continuare a piangerci addosso è inutile e controproducente Quanti , avendo perduto tutto , guardano sbigottiti le rovine ma poi dicono : cominceremo daccapo , l´ ultimo esempio ci viene dai terremotati dell´Abruzzo
Ecco allora guardare in avanti e con l´ aiuto di Dio e il vostro appoggio continuare gli altri piccoli progetti:
- l´ ambulatorio oftalmologico ( circa cento visite al mese)
- la sessantina di bambini iperattivi della onlus ”servire la vita” di Santa Maria
- i 753bambini (cioé tutti i bambini poveri ) assistiti dalla pastorale del bambino a Salto da Divisa;
- il centinaio di famiglie dei senza terra dell´accampamento D . Luciano
- il sostegno anche economico al GADDH ( gruppo di appoggio dei diritti ( h) umani ), in difesa specialmente delle vittime della violenza domestica -donne e bambini in modo particolare
- la Radio Comunitaria , veicolo di formazione e di informazione , dando voce a chi non ha voce…..
Tutto questo fino a quando ?
Forse sta arrivando l´ora di uscire di scena , ritirarsi dal palco lasciare il girotondo in punta di piedi (Koning)
Oggi , a 79 anni in maggio, diversi segni mi avvisano che il tempo si é abbreviato .
Nel 25º della nostra Província di Minas , dovendo fare una relazione sui missionari cappuccini di Messina rimasi impressionato e edificato ,di alcuni di questi nostri confratelli ,che dopo una attività quasi prodigiosa , negli ultimi anni della loro vita, chiedevano ai superiori la grazia di ritirarsi in qualche convento dell´ Ordine , per prepararsi nella pace all´ incontro con sorella morte .
Ho parlato della situazione di Salto da Divisa con i miei superiori affinché insieme possiamo discernere qual´é la volontà di Dio nei nostri riguardi .
ALLELUIA !
Auguri di Buona Pasqua Abbracci affettuosi dal fratello e amico
Frei Emilio, Missionario cappuccino.
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Da “ Dio non era nel maremoto” – Liberazione – 5 gennaio 2005 di Raniero La Valle |
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«Dio non era nel terremoto». Questa affermazione perentoria è stata fatta dallo scrittore biblico, molto prima che qualche cardinale venisse ad inquinare le acque, quelle del maremoto asiatico, col dire: “Dio ha voluto metterci alla prova”. L’intenzione del cardinale Martino era buona (alla prova sarebbe “la nostra capacità di essere solidali”) ma questo tirar Dio dentro il terremoto è devastante, perché un Dio così, a questi prezzi, nessuno lo vuole. L’ateismo ne sarebbe l’unico rimedio; e allora non ci si può lamentare se Eugenio Scalfari, nel concludere sulla Repubblica il dibattito sul laicismo, dice che Dio muore e le religioni restano, e se deve essere lui a ricordare che “Gesù di Nazareth ha modificato il Dio di Abramo, di Giobbe, del Qoelet, il creatore del Leviatano, il Dio incontinente e tuonante dall’alto dei cieli“.
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Dio non c’entra con i terremoti ma, per i credenti, c’entra con la risposta da dare ai terremoti, come al crollo delle Torri Gemelle come ad ogni altro disastro e sciagura, che sia provocata dalla natura o dall’uomo.
Lo scrittore biblico l’aveva avvertito anche prima che si rivelasse il Dio di Gesù: “Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu un mormorio di un vento leggero”, e Dio era lì, come racconta il Primo libro dei Re.
L’idea che Dio c’entri con i terremoti, gli tsunami e le stragi, di innocenti o non innocenti, sia pure per metterci alla prova, deriva da una incauta lettura provvidenzialista della storia, che è stata veicolata anche dalla tradizione cristiana, fino a rispecchiarsi nel detto popolare: “non si muove foglia che Dio non voglia”.
In effetti è una lettura che non solo fraintende il Dio di Gesù, che è il Dio della redenzione e non delle mazzate, ma anche il Dio della creazione, nella quale è incluso il Sabato, nel quale Dio “si riposò”; il giorno del riposo di Dio è il giorno della storia, nel quale si sprigiona l’opera della mente e delle mani dell’uomo (il lavoro), e la natura ha il suo corso.
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Il tentativo in atto di contenere lo Spirito del Concilio è, a nostro avviso, un grave errore che, se perseguito fino in fondo, non può che aumentare in modo irreparabile lo steccato tra Chiesa e società, Vangelo e vita, annuncio e testimonianza. A noi sembra che l’insistere su visioni e norme anti-storiche o non biblicamente fondate o, talvolta, anti-cristiane, non aiuti la credibilità ecclesiale nell’annuncio del regno di Dio.
Vanno ripensati, ad esempio, le questioni riguardanti l’esercizio della collegialità episcopale e del primato papale, i criteri nella nomina dei vescovi che salvaguardino il pluralismo, la condizione dei divorziati, dei separati e delle persone omosessuali, l’accesso delle donne ai ministeri ecclesiali, la dignità del morire.
Vogliamo una Chiesa che non imponga mai a nessuno le proprie convinzioni sui problemi dell’etica e della politica e si fidi solo della forza libera e mite della fede e della grazia di Dio.
Vogliamo una Chiesa che pratichi la compassione e trovi nella pietà la sua gloria. E faccia sue le parole che il santo padre Giovanni XXIII incise sul frontone del Concilio: «Oggi la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi non rinnovando condanne ma mostrando la validità della sua dottrina… La Chiesa vuol mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà, anche verso i figli da lei separati».
Vogliamo una Chiesa che sappia dialogare con gli uomini e le donne e le loro culture, senza chiusure e condizionamenti ideologici, e impari ad ascoltare e a ricevere con gioia le cose vere e buone di cui gli interlocutori sono portatori. La verità e la bontà sono di Dio, il quale le dà a tutti gli uomini e non solo ai cristiani.
Vogliamo che al centro della Chiesa venga messo il Vangelo e la sua radicalità. Solo così la Chiesa potrà essere vista e sperimentata come “esperta in umanità”. È tempo che, senza paura, nella Chiesa e nella città prendiamo la parola da cristiani adulti e responsabili, pronti a rendere conto della speranza cristiana.
Palermo 25 febbraio 2009
Promotori dell’appello sono alcuni sacerdoti e laici, non solo palermitani. In ordine alfabetico: Giuseppe Barbera (laico), Nino Fasullo (prete), Rosellina Garbo (laica), Rosario Giuè (prete), Tommaso Impellitteri (laico), Teresa Passatello (laica), Teresa Restivo (laica), Franco Romano (parroco), Zina Romeo (laica), Rosanna Rumore (laica), Cosimo Scordato (prete), Francesco Michele Stabile (parroco). All’appello, che finora ha raccolto più di 300 adesioni, hanno aderito i seguenti preti: Aurelio Antista, Liborio Asciutto, Gregorio Battaglia, Alberto Neglia, Giovanni Calcara, Gianni Novelli, Egidio Palombo.
Si può inviare la propria adesione a queste e-mail: chiesacitta@libero.it oppure: rivistasegno@libero.it