Attualità
I Sintomi
Sono i classici dell’influenza “stagionale”, quella che tutti gli anni si presenta in genere ai primi dell’anno: inizialmente ci si sente stanchi, compaiono brividi di freddo, dolori muscolari ed articolari, febbre con temperature tra i 38 e i 40 gradi, tosse, mal di gola. Nei neonati la febbre può mancare: il bambino appare debilitato, irrequieto e ha poco appetito, spesso vomito e diarrea. I sintomi durano 5-7 giorni.
Le complicazioni
Le “complicazioni” sono rare nei soggetti adulti e nei bambini in età scolare in buone condizioni di salute. Sono invece molto più frequenti dei neonati, nei vecchi, e in genere nelle persone che presentano alcune malattie pre-esistenti: asma bronchiale, malattie del cuore, obesità importante, tumori, deficienze del sistema immunitario, diabete mal controllato, insufficienza renale, gravidanza. Le complicazioni sono in genere causate da batteri: pneumococco, stafilococco, streptococco, emofilo. Sono soprattutto bronchiti e broncopolmoniti, otiti. Ci si accorge della loro comparsa se, durante l’influenza, le condizioni generali tendono a peggiorare invece che andare verso la guarigione, la febbre aumenta, compare dolore all’orecchio.
Diffusione
Il virus si trasmette da persona a persona, tramite goccioline di saliva emesse con tosse, starnuti e il parlare ad alta voce. Possono essere contaminati oggetti (ad esempio il telefono). In genere il virus entra con le mani contaminate, toccandosi la bocca, gli occhi, il naso. Ovviamente frequentando ambienti affollati è più facile infettarsi.
Per evitare di contaggiare altri
Evitare di uscire di casa per tutta la durata della malattia: gli “eroismi” portano a diffondere l’epidemia.
Occorre coprire naso e bocca con un fazzoletto “usa e getta” quando si starnutisce o ci si pulisce il naso. Il fazzoletto va gettato ogni volta nella spazzatura. Subito dopo occorre lavarsi accuratamente le mani. Evitare tassativamente di viaggiare e di frequentare ambienti affollati. Evitare di recarsi al pronto soccorso o all’ospedale se si ha il sospetto di avere l’influenza. Rivolgersi al proprio medico di famiglia
Per evitare di contaggiarsi
Evitare di frequentare persone con l’influenza, presto guariranno. Evitare quindi i luoghi affollati, gli ospedali. Lavare spesso e accuratamente le mani. Aerare gli ambienti in cui si soggiorna.
Come Curarsi
Alla comparsa di sintomi influenzali, evitare di correre in ospedale al primo brivido o starnuto: contattare il proprio medico, il pediatra di famiglia o la guardia medica. Sarà il medico a prescrivere il trattamento più adeguato: solo nei casi più gravi o complicati sarà necessario il ricovero in ospedale. Assumere liquidi in abbondanza: acqua, succhi di frutta, brodo. Se compaiono sintomi nuovi o inaspettati consultare ancora il medico.
In linea di massima i farmaci non sono necessari, a parte qualche compressa di tachipirina in caso di febbre alta o dolori articolari. Esistono due farmaci antivirali efficaci: vanno usati solo nei casi “complicati” e prescritti dal medico che ne abbia valutato la necessità. Sono efficaci ma non fanno miracoli
Quello che si è scatenato dentro il PD ci lascia stupefatti e ci riempie di sconcerto : i sogni del cambiamento travolti dalle logiche dei vecchi “tenutari”.
La speranza, come sempre, è sopraffatta dal delirio di onnipotenza di coloro che della politica ne hanno fatto un mestiere .
Nominato oggi il nuovo vescovo di Cefalù : è Mons. Vincenzo Manzella che prende il posto di Mons Francesco Sgalambro, che lascia per sopraggiunti limiti di età .
Nato a Casteldaccia, arcidiocesi di Palermo, il 16 novembre 1942; ordinato presbitero il 1° luglio 1967; è stato rettore del seminario maggiore di Palermo. |
Lettera di Mons. Vincenzo Manzella alla diocesi. Lettera |
Eletto alla sede vescovile di Caltagirone il 30 aprile 1991, è stato ordinato vescovo il 29 giugno 1991.
Attualmente, in seno alla conferenza episcopale siciliana, è delegato per i Problemi sociali, del Lavoro e Giustizia e Pace.
Possa, come l’indimenticabile Mons. Cagnoni, vivere nella fedeltà il rapporto nuziale con la chiesa cefaludese.
Commentando la sua nomina il nuovo vescovo della Diocesi di Cefalù ha detto:
“Ringrazio il Signore per il dono della vocazione e del sacerdozio e per questi anni di ministero episcopale a Caltagirone. Ho trascorso qui diciotto anni della mia vita e credo di avere imparato ad amare questa Chiesa, questa città, la Diocesi.
Ringrazio il Santo Padre per la fiducia che mi rinnova affidandomi la Chiesa di Cefalù; e mi affido alla Madonna di Gibilmanna, amata e venerata come Patrona della diletta Diocesi di Cefalù perché assieme a quella porzione eletta del Popolo Santo di Dio ci renda discepoli e servitori del Suo Figlio, ravvivi la nostra speranza e infonda in noi il coraggio del futuro e il fascino della santità”.
Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura.
Penso ad esempio che a Trieste l’Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.
Ma bandiere e inni sono soltanto simboli, sia pur importanti, validi solo se esprimono un’autentica realtà culturale del Paese. È dunque opportuno che il Ministero da Lei diretto si adoperi per promuovere un’istruzione e una cultura capaci di creare una vera, compatta, pura, identità locale.
La letteratura dovrebbe ad esempio essere insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostituiti dalla conoscenza approfondita del Moroso de la nona di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve essere insegnata secondo questo criterio; l’opera di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombardia e in Sicilia. Tutt’al più la sua fisica potrebbe costituire materia di studio anche in altre regioni, ma debitamente tradotta; ad esempio, a Udine, nel friulano dei miei avi. Le ronde, costituite notoriamente da profondi studiosi di storia locale, potrebbero essere adibite al controllo e alla requisizione dei libri indebitamente presenti in una provincia, ad esempio eventuali esemplari del Cantico delle creature di San Francesco illecitamente infiltrati in una biblioteca scolastica di Alessandria o di Caserta.
Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’entriamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno bene a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».
Come ho già detto, non solo l’Italia, ma già la regione, la provincia e il comune rappresentano una unità coatta e prevaricatrice, un brutto retaggio dei giacobini e di quei mazziniani, garibaldini e liberali che hanno fatto l’Italia. Bisogna rivalutare il rione, cellula dell’identità. Io, per esempio, sono cresciuto nel rione triestino di Via del Ronco e nel quartiere che lo comprende; perché dovrei leggere Saba, che andava invece sempre in Viale XX Settembre o in Via San Nicolò e oltretutto scriveva in italiano? Neanche Giotti e Marin vanno bene, perché è vero che scrivono in dialetto, ma pretendono di parlare a tutti; cantano l’amore, la fraternità, la luce della sera, l’ombra della morte e non «quel buso in mia contrada»; si rivolgono a tutti — non solo agli italiani, che sarebbe già troppo, ma a tutti. Insomma, sono rinnegati.
Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Italia. Finora abbiamo creduto che il senso profondo di quell’unità non fosse in alcuna contraddizione con l’amore altrettanto profondo che ognuno di noi porta alla propria città, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è profondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente profondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innumerevoli, diversi e incantevoli volti che concorrono a formare la sua realtà. Ci riconoscevamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l’acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, aggiungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare. Sbagliava? Oggi certo sembrano più attuali altri suoi versi: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».
Con osservanza
Claudio Magris