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Vangelo del giorno
Sabato 23 Novembre 2024

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

(Lc. 20,27-40) 

Bibbia – CEI 2008
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(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Attualità

( fonte:Nigrizia – 24/03/2010 )

 Era il 24 marzo del 1980 e monsignore stava celebrando la messa nella cappella dell’hospitalito, l’ospedale delle Suore della Divina Provvidenza, a San Salvador, dove viveva. Celebrava l’eucaristia delle sei del pomeriggio. Mentre iniziava l’offertorio, una pallottola lo colpì al cuore. Istintivamente si aggrappò all’altare, rovesciandosi addosso tutte le ostie da consacrare.  

 

Cadde ai piedi del crocifisso in una pozza di sangue, quasi gli dicesse: Oscar, ora la vittima sei tu. “Sentire con la chiesa” era il suo motto di vescovo. Chiesa, il suo popolo, che ama e vuol servire. Innamorato di Cristo e dei suoi fino allo spargimento del sangue.

La sua gente da subito ne ha fatto l’icona del pastore che spende la propria vita in difesa dei più deboli e dei poveri. E lo ha proclamato santo

Dal 1996 è approdato a Roma il suo processo di canonizzazione, dopo la chiusura della fase diocesana. Postulatore della causa è mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni ed espressione della Comunità di sant’Egidio. Indossa la croce che Romero portava al momento della morte. In passato aveva lasciato intendere che le pratiche procedevano spedite. Ed invece i tempi del “processo” sembrano dilatarsi all’infinito. È lecito chiedersi perché. Possibili speculazioni e strumentalizzazioni politiche? Resistenze da parte dei settori tradizionalisti che ritengono Romero rivoluzionario ed estremista, figura controversa e conflittiva, dimentico della diplomazia, vescovo di frontiera e di lotta, politico, insomma? Ma lui chiedeva semplicemente di applicare la dottrina sociale della chiesa, ritenuta dal potere troppo aperta e quindi tacciato di comunista. Doveroso ricordare che non sapeva granché di politica; e di marxismo quasi nulla.

 

A lui interessava solo la gente del Salvador per la quale altro non pretendeva che giustizia e pace. Il legame tra le due, Romero lo sottolineava fondato sul Concilio e il magistero. Aveva capito che la chiesa, ovunque, non solo in America Latina o in Salvador, doveva annunciare il vangelo (si definiva il “catechista” del suo popolo) sulla via della giustizia e della pace, due termini che si legano se si parte dall’attenzione ai più poveri e ai più deboli, come appare in tutte le pagine della Scrittura. La persona dei poveri e degli oppressi che per lui oltre che esseri umani erano “divini, in quanto Gesù disse di loro che tutto ciò che si fa ad essi egli lo considera fatto a sé”. Insomma, una passione senza confini per la sorte dei poveri che è elemento ineliminabile della Tradizione della chiesa che da sempre riconosce la predilezione del povero come scelta stessa di Dio. Ricorreva a sant’Agostino e Tommaso d’Aquino per giustificare chi si sollevava contro la tirannia sanguinaria. Citava la Populorum progressio. E per dire che “il vero peccato è l’ingiustizia sociale” non riprendeva forse gli scritti di Ambrogio contro l’oppressione dei poveri e quelli del profeta Neemia sull’usura e lo sfruttamento? Ma sembra non bastare.

 

Le sue omelie raccontavano i tragici fatti della settimana, le sofferenze che il popolo, i contadini, i catechisti, i sacerdoti subivano. Elencava gli abusi spaventosi che il popolo subiva; uccisioni, rapimenti, torture, sparizioni, distruzione di case e campi…tutte cose che spezzavano davvero il suo cuore di uomo e di pastore.

Sembrano pesare su di lui ancora le sue ultime visite romane piene di incomprensioni. Non basta che si ispirasse al suo amico e consolatore, il vescovo argentino Eduardo Francisco Pironio che Paolo VI farà cardinale nel ’76, nel cui pensiero incontrava una formulazione della teologia della liberazione molto aderente al vangelo e alla dottrina sociale della chiesa. Ma pur sempre di teologia della liberazione si tratta e…non va bene. Bisogna a tutti i costi “spiritualizzare” la sua figura. Puntando i riflettori in maniera esclusiva sui suoi interessi spirituali e la sua vita interiore, fatta di rosari, devozione al Sacro Cuore e alla Madonna, preghiera, sacramenti, meditazione…il primo Romero, insomma, quello “conservatore”, che piaceva al potere, e farne sparire il secondo, quello che per soli tre anni è stato arcivescovo di San Salvador, “convertendosi” a Cristo, certo, ma anche al suo popolo che l’assassinio dell’amico e prete gesuita Rutilio Grande gli aveva fatto riscoprire. Davanti al cadavere dell’amico si disse che doveva seguirne i passi.

 

Spiritualità certo, ma quella di Romero è stata particolarmente calata nella realtà. Una fede vissuta come impegno a costruire la pace, fondata sulla solidarietà e la giustizia. Mai si è rifugiato in un mondo irreale, pericolo frequente nella storia della chiesa e tipico delle persone spirituali, quelle che come diceva Péguy “siccome non sono della terra, credono di essere del cielo; poiché non amano gli uomini, credono di amare Dio”. Come tanti altri sacerdoti dell’America Latina Romero fu ucciso da persone che si dicevano cristiane e che vedevano in lui un nemico dell’ordine sociale occidentale. Bisogna riconoscere e concludere: Romero martire della società occidentale cristiana. E qui, il discorso sulle radici cristiane dell’Occidente ci porterebbe lontano…

Naturalmente lui, monseñor, dal cielo dove si trova avrà certo la pazienza di sorridere e di aspettare che noi, suoi sostenitori così diversi, ci mettiamo d’accordo. Lui ha sempre creduto in Dio, la cui gloria è la vita e la liberazione degli oppressi. E non dimentica di aver detto: “Se mi uccidono risorgerò nel popolo salvadoregno. Un vescovo morirà, ma la chiesa di Dio, che è il popolo, non morirà mai”.

 

In Africa Romero ha avuto i suoi emuli: Christophe Munzihirwa, l’arcivescovo gesuita di Bukavu e dal giorno della sua morte noto come “il Romero d’Africa”; il domenicano Pierre Claverie, francese d’Algeria, vescovo di Orano; l’arcivescovo di Gitega (Burundi) Joachim Ruhuna. Tutti uccisi nel 1996, perché schierati dalla parte della giustizia e per la vita. Qualcuno aveva suggerito che per acclamazione il Sinodo africano celebratosi a Roma nell’ottobre scorso li proclamasse “beati”. Non se n’è fatto nulla. Ma i vescovi d’Africa non mancano certo di esempi di loro fratelli fedeli al popolo di Dio fino alla morte. E la gente non ha bisogno di Roma per considerarlisanti.

«Una sconfitta della politica».

È il giudizio del comboniano Alex Zanotelli, dopo che il decreto Ronchi, approvato in parlamento, ha deciso di privatizzare ciò che appartiene a tutti. E contro la mercificazione di “sorella acqua”, il missionario lancia un appello a tutti i cittadini, in particolare alle comunità cristiane e alla Cei.

“Maledetti voi!”. Per coloro che, il 19 novembre, hanno votato in parlamento per la privatizzazione dell’acqua, non posso usare altra espressione che quella usata da Gesù nel Vangelo di Luca: «Guai a voi, ricchi!» (Lc 6,24). Maledetti coloro che hanno votato per la mercificazione dell’acqua. Noi continueremo a gridare che l’acqua è vita, l’acqua è sacra, l’acqua è un diritto fondamentale umano.
Questa è la più clamorosa sconfitta della politica. È la stravittoria dei potentati economico-finanziari e delle lobby internazionali. È la vittoria della politica delle privatizzazioni, degli affari, del business.

A farne le spese è “sorella acqua”, il bene più prezioso dell’umanità, che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici sia per l’aumento demografico.

Quella della privatizzazione dell’acqua è una scelta che sarà pagata a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese (bollette del 30-40% in più, come minimo), ma soprattutto dagli impoveriti del mondo. Se oggi 50 milioni all’anno muoiono per fame e malattie connesse, domani 100 milioni moriranno di sete. Dei tre miliardi che vivono oggi con meno di due dollari al giorno, chi potrà pagarsi l’acqua?

Noi siamo per la vita, per l’acqua che è vita e fonte di vita. Chi ha cantato vittoria, sappia che si tratta di una vittoria di Pirro. A chi si sente sconfitto, chiediamo di trasformare questa “sconfitta” in un rinnovato impegno per l’acqua, per la vita, per la democrazia. Questo voto parlamentare sarà un boomerang per chi l’ha votato.

Il nostro è un appello, prima di tutto, ai cittadini, a ogni uomo e donna di buona volontà. Dobbiamo ripartire dal basso, dalla gente, dai comuni.
Per questo chiedo:


Ai cittadini: di protestare contro il decreto Ronchi, inviando e-mail ai propri parlamentari; di creare gruppi in difesa dell’acqua a livello localmente e regionale; di costituirsi in cooperative per la gestione della propria acqua.

Ai comuni: di indire consigli comunali monotematici in difesa dell’acqua; di dichiarare l’acqua bene comune, privo di rilevanza economica; di fare la scelta dell’Azienda pubblica speciale (la nuova legge non impedisce che i comuni scelgano la via del totalmente pubblico, dell’azienda speciale, delle cosiddette municipalizzate).

Agli “Ambiti territoriali ottimali” (Ato): di trasformarsi in aziende speciali, gestite con la partecipazione dei cittadini. (Oggi i 64 Ato sono affidati a spa a totale capitale pubblico).

Alle regioni: d’impugnare la costituzionalità della nuova legge, come ha fatto la Regione Puglia; di varare leggi regionali sulla gestione pubblica dell’acqua.

Ai sindacati: di pronunciarsi sulla privatizzazione dell’acqua; di mobilitarsi e mobilitare i cittadini contro la mercificazione dell’acqua.


Ai vescovi italiani: di proclamare l’acqua un diritto fondamentale umano, sulla scia della recente enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, la quale si augura che «maturi una coscienza solidale che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni» (27); di protestare come Conferenza episcopale Italiana contro il decreto Ronchi.

Alle comunità cristiane: di informare i fedeli sulla questione acqua; di organizzarsi in difesa dell’acqua.

Ai partiti: di esprimere a chiare lettere la propria posizione sulla gestione dell’acqua; di farsi promotori di una discussione parlamentare sulla legge d’iniziativa popolare contro la privatizzazione dell’acqua, firmata da oltre 400.000 cittadini.

L’acqua è l’oro blu del 21° secolo. Insieme all’aria, l’acqua è il bene più prezioso dell’umanità.
Vogliamo gridare, oggi più che mai, quello che abbiamo urlato in tante piazze e teatri di questo paese, ben riassunto in queste parole di mons. Giovanni Marra, arcivescovo emerito di Messina: «L’aria e l’acqua sono in assoluto i beni fondamentali e indispensabili per la vita di tutti gli esseri viventi e ne diventano fin dalla nascita diritti naturali intoccabili. L’acqua appartiene a tutti e a nessuno può essere concesso di appropriarsene per trarne illecito profitto. Pertanto, si chiede che rimanga gestita esclusivamente dai comuni organizzati in società pubbliche, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione al costo più basso possibile».

Per aderire all’appello invia un’e-mail all’indirizzo:

beni_comuni@libero.it

con la scritta: aderisco.

  Commovente e partecipata, viva di ricordi vecchi e recenti la giornata organizzata dalla Camera del Lavoro di Castelbuono,domenica 10 Gennaio 2010, in ricordo di uno dei sindacalisti più impegnati nel nostro territorio, Leonardo Sferruzza, [ nel ventennale della sua scomparsa ] a cui è stata intitolata la sede locale della Camera del Lavoro.  Tante le presenze all’evento: rappresentati del mondo sindacale, tra cui Salvatore Tripi,(Segr. Gen. della FLAI CGIL SICILIA) numerosi politici locali, vecchi e nuovi amministratori, rappresentanti di categorie,

del mondo della scuola, i familiari e poi la gente, tanta gente comune di ogni età che ha viva la memoria di Leonardo Sferruzza.

Numerosi gli interventi.

Ha introdotto la manifestazione Nuccio Ribaudo che, avendo lavorato per anni, a fianco di Nardo Sferruzza ne ha ricordato l’impegno onesto e rigoroso, nonché la lungimiranza per lotte allora poco comprensibili ma attualissime oggi.

  Lotte che hanno visto salvaguardate tante ricchezze del nostro territorio, tra le quali il bosco.

 Di seguito l’intervento  del Responsabile FLAI CGIL Madonie Vincenzo Capuana che, tra l’altro, soddisfatto per la realizzazione di un impegno preso in un comizio in piazza Margherita , ha detto  “Ed è un merito, per la nostra comunità, dove mai è attecchita la cultura mafiosa oggi intestare la Camera del Lavoro ad un Compagno che ha vissuto per intero tutte le stagioni della vita,  fino all’inverno della malattia e la morte.”

Poi non volendo “fare un affresco dell’Uomo e del Dirigente Sindacale “ lasciando “ tale compito a coloro che mi seguiranno nel racconto di aneddoti di vita vissuta “ ha continuato sottolinenado che l’intestazione della camera del lavoro a Nardo Sferruzza vuole essere un giusto riconoscimento non solo ad un compagno che con passione, impegno ed abnegazione ha organizzato storiche lotte per il lavoro e per il raggiungimento di fondamentali diritti  ma anche ad un rappresentante di quella Classe Dirigente del Sindacato, Ciccio Di Galbo – Angelo Lima – Angelo Occorso – Michele Spallino solo per citarne alcuni, che dagli anni ’50 in poi è stata punto di riferimento determinante per l’emancipazione della classe operaia e per la crescita della nostra  Comunità. “

Oltre a un giusto riconoscimento anche  “ il premio agli uomini, dalle origini umili e senza studi,  nati con le stigmate di classe dirigente che hanno caratterizzato quella generazione  … capace di superare fattori limitanti oggettivi  quali lo spazio e il tempo, l’analfabetismo, la povertà e la fame.”

Con quella generazione “ la conquista di fondamentali diritti per i lavoratori ma non solo, penso ad esempio alle grandi battaglie referendarie … il divorzio, l’aborto, il movimento pacifista e a Castelbuono le iniziative per il Piano Regolatore, per il Consorzio Manna ad esempio….. “

Poi ha continuato invocando la necessità che si riannodi il “filo che si è spezzato: dalle città ai comuni, nelle università, nei luoghi del lavoro e nelle periferie sociali deve essere ritessuta una rete di partecipazione, capace di portare nuove idee e nuovi protagonisti, capace di ricostruire quel legame tra la politica e la società. Perché se  è vero … che la CGIL non è un partito ma fa politica, è dentro questa affermazione il senso di questo giorno. Il bisogno di unire, la necessità di andare insieme dalla stessa parte, la volontà della condivisione e della educazione. Una strategia che cerca la sintesi tra saggezza e rischio, realismo e sogno, ragione e sentimento. “

 In questo contesto, con uno sguardo alla fase congressuale della CGIL, che si concluderà il prossimo maggio a Rimini con il congresso nazionale, ha proseguito dicendo che La CGIL  deve avere i piedi per terra ma muoversi a tempo di utopia. Quell’utopia che serve per continuare a cercare l’orizzonte dove andare. Il bene comune, una sostanziale convergenza sull’uomo.”

Concludendo “  l’ augurio .. di scoprire il dolce sapore della conquista di nuovi diritti, continuare ad assaporare il gusto di diritti già acquisiti con la consapevolezza del senso del dovere e, se necessario, non indietreggiando davanti  la durezza della lotta.

Quella targa sarà lì, e ovunque noi porteremo la Camera del Lavoro, e speriamo di comprarla una sede definitiva, come stella polare di comportamento e azione soprattutto nei momenti più duri e di sconforto, e non solo per chi come me seppure, in un ricordo da bambino, ha conosciuto quegli uomini.”

Di seguito un breve ricordo di Carmelo Mazzola che ,ricordandolo  amico e compagno di lavoro, ne ha sottolineato la correttezza inculcata a tutti nel dire che prima di lottare bisogna essere a posto con i propri doveri di lavoratore.

  Sono seguiti gli interventi del Sindaco Mario Cicero e del Presidente del Consiglio Prof. Martino Spallino che ricordandolo come “ collettore di voti “ né ha sottolineato il grande spirito di servizio alla politica e dedizione al sindacato nel cedere subito il posto a chi lo seguiva per ritornare ad operare per la tutela dei diritti dei lavoratori.

Subito dopo l’intervento dell’Avvocato Nuccio Di Napoli che riportiamo in buona parte perché ci ha colpito per la sapienza ( che come è detto in Qoelet è creatrice e formatrice dell’uomo , senza la quale anche il più perfetto degli uomini sarebbe stimato un nulla… )

  Ha esordito ricordando che tra i vari maestri avuti nella vita “…i miei maestri politici trovano primi fra tutti Gino Carollo, Nardo Sferruzza, Angelo Occorso – rude maestro – Angelo Lima, Mico Santannuzza – Domenico Cicero -, Andrea Sottile, ed un rimpianto mi guida alla memoria di Angelino Botta.”

Da tutti la trasmissione di “duri insegnamenti dell’esperienza e della realtà, da ciascuno un senso della vita, su cui meditare. …  Da Gino Carollo la esuberanza politica, la espansione di umana fascinosità, irripetibile …. Da Nardo la pacatezza che rassicurava chiunque, specialmente donna, e allontanava ogni imbarazzo quando gli si chiedeva la prestazione sindacale – corrisposta sempre indipendentemente dall’appartenenza politica; la disponibilità che era  assoluta, specie nel colloquiare,” mentre “veicolava il proprio pensiero politico nel massimo rispetto per gli altri,per il loro pensare diverso ….”

Ha poi continuato affermando che “così assumeva nella propria condotta una vera e propria  adesione alla democrazia” .

Ha poi proseguito (richiamando, forse, Gustavo Zagrebelsky:” Pensando e ripensando, non trovo altro fondamento della democrazia che questo solo. Solo, ma grande: il rispetto di sé. La democrazia è l’ unica forma di reggimento politico che rispetta la mia dignità nella sfera pubblica, mi riconosce capace di discutere e decidere sulla mia esistenza in rapporto con gli altri. Nessun altro regime mi presta questo riconoscimento, poiché mi considera indegno di autonomia, fuori della cerchia stretta delle mie relazioni puramente private.”) affermando  quanto radicato fosse in Nardo  l’ideale di democrazia che necessariamente deve condurre ad un dialogo alla pari:   “ ideale assolutamente corrispondente alla sua idea di dignità umana, di rispetto per l’uomo, aborrendo da ogni interesse corporativo e fazioso, così lottando contro le disuguaglianze e le ingiustizie, come pure contro l’apatia politica e contro la tronfiezza di sé per assicurare a questa nostra cittadina ciò di cui ha più bisogno, la fioritura del pensiero, delle arti e, prima di tutto, dell’intelletto; solo così si perseguono gli spazi verso la libera comunicazione fra eguali….”

 Ha continuato dicendo che “Oggi la nostra è diventata una società del rischio perché dimentica della eguaglianza democratica, della idea dei  diritti di eguale cittadinanza: Nardo auspicava società di equa cooperazione fra persone libere ed eguali e che hanno pari dignità.”

 Poi una splendida analisi sul “parlare”: “ Allora rammento a tutti che il discorso, il parlare, il «sermo», come è meglio chiamarlo, il «sermo» è generato dall’intelletto e genera l’intelletto ( Abelardo), quindi il «sermo» non è la vacuità del parlare se è generato dall’intelletto, ed è per questo che genera l’intelletto: e non è figlio dell’essere letterato, ma è figlio di chi possiede l’intuizione geniale.

 Mi piace richiamare, con il «sermo», la profonda fatica filologica da cui deriva l’affascinante esplorazione della vita sotterranea delle parole, sino a comprendere la complessa dinamica dei rapporti sociali.”

Ha poi proseguito, citando Seneca, “se un uomo è un uomo, allora deve interessargli tutto quanto si riferisce ad un uomo –  ecco che colgo la grande umanità di Nardo Sferruzza, il suo intelletto, perché possedeva la più bella virtù di un animo generoso,- che è l’impulso che spinge al bene” 

Ha poi concluso: “Ecco perché lo ho indicato  fra i miei maestri!  E Nardo Sferruzza merita l’onore della memoria.

Il Significato delle cose non deve essere messo dentro le cose da noi, ma tratto da noi.

Nardo Sferruzza oggi lo si è onorato ! Ed io lo onoro con voi !”

 Poi, tra gli altri, gli interventii del Rag. Francesco Romeo, già Sindaco di Castelbuono, che, nello spirito di “ fare memoria” ha ripercorso  gli inizi del sindacato a Castelbuono a partire dai primi anni del novecento [ molti i nomi ricordati :  Ciccio Di Galbo – Angelo Botta – Angelo Lima – Angelo Occorso – Michele Spallino ] sollecitando ai giovani il dovere della memoria.

Ricordando poi i fatti di Rosarno ( come anche all’inizio aveva fatto Nuccio Ribaudo) ha sollecitato una attenzione del Sindacato e dell’amministrazione comunale al problema locale dell’immigrazione che non si può ignorare soprattutto  per quanto concerne problematiche come accoglienza,  lavoro nero e diritti, spesso anche da noi calpestati.

   I tragici fatto di Rosarno non  possono lasciarci nell’indifferenza.      Quanto sopportare  ancora un ministro che punta il dito ” sull’eccessiva tolleranza con cui, in questi anni, è stata accettata, senza reagire e con “troppo lassismo”, “un’immigrazione clandestina che ha alimentato la criminalità e ha generato una situazione di forte degrado    

Gli immigrati .. i maledetti da cacciar via .. eppure sono le stesse persone che hanno lavorato, sfruttati, alle dipendenze di criminali organizzazioni malavitose  e di imprenditori-padroni senza scrupolo,  per una paga miserabile  per arricchire le nostre mense.  

Eppure anche noi siamo stati emigrati, forse più di lusso, perché invece di avere per giaciglio un pezzo di cartone avevamo delle baracche.  

   “Bisogna aiutare i fratelli che sbagliano”, spiega don Pino Varrà, parroco di Rosarno. “E in questi giorni che stiamo vivendo qualcuno ha sbagliato. Ma questo non ci autorizza a colpirlo, a inseguirlo, a ucciderlo, a cacciarlo. Ci obbliga a capire, a fermarci. Per non sbagliare più. Questo dobbiamo fare se vogliamo essere dei cristiani”.  

“Se ho un fratello in famiglia non posso picchiarlo o cacciarlo di casa perché ha rotto un vaso. Devo andargli incontro, sostenerlo, capire cosa è accaduto”.  

  “Vedo finalmente questa chiesa piena, sono contento che moltissimi tra voi sono tornati. Ma vedo anche che manca qualcuno”.  

  “Lo vedete anche voi. Non c’è John. Vi ricordate di lui? Veniva ogni domenica”.  

 “Mancano anche Christian, Luarent. E Didou, il piccolo Didou. Mancano i suoi genitori. Erano come voi, con la pelle più scura, venivano dall’Africa. Non ci sono perché li hanno cacciati”. 
….  “Mi rivolgo ai più grandi, ai genitori. Perché loro hanno un ruolo importante, formativo. A voi dico: non vi fate trascinare verso ragionamenti e reazioni che non sono da cristiani. E’ facile dire: abbiamo ragione noi. Quando siete nati, Dio è stato chiaro: questo è mio figlio. Lo siamo tutti. Tutti abbiamo diritto alla vita, una vita dignitosa, che non ci umili. Anche quelli di un altro colore, anche quelli che sbagliano sempre. Se vogliamo essere cristiani noi non possiamo avere sentimenti di odio e di disprezzo”. 

 “Possiamo anche dire che abbiamo sbagliato. Che i miei fratelli, bianchi e neri hanno sbagliato. Ma lo dobbiamo dire sempre. Non solo quando qualcuno ci sfascia la macchina. Lo dobbiamo sostenere con  forza anche quando altri fanno delle cose ancora più gravi. Cose terribili. Dobbiamo avere il coraggio di gridare e denunciare”.  

  Poi, indicando il presepe: “Non avrebbe senso aver allestito questa opera. Non avrebbe senso festeggiare il Natale. Meglio distruggerlo e metterlo sotto i piedi. Dobbiamo celebrarlo convinti dei valori che lo rappresentano. Perché crediamo nella misericordia e nella solidarietà. Se invece non abbiamo la forza di ribellarci ai soprusi e alle ingiustizie e siamo pronti alle violenze nei confronti dei più deboli, allora non veniamo più in chiesa. Dio saprà giudicare. Saprà chi sono i suoi figli”.   

 Di nuovo, considerate di nuovo
Se questo è un uomo,
Come un rospo a gennaio,
Che si avvia quando è buio e nebbia
E torna quando è nebbia e buio,
Che stramazza a un ciglio di strada,
Odora di kiwi e arance di Natale,
Conosce tre lingue e non ne parla nessuna,
Che contende ai topi la sua cena,
Che ha due ciabatte di scorta,
Una domanda d’asilo,
Una laurea in ingegneria, una fotografia,
E le nasconde sotto i cartoni,
E dorme sui cartoni della Rognetta,
Sotto un tetto d’amianto,
O senza tetto,
Fa il fuoco con la monnezza,
Che se ne sta al posto suo,
In nessun posto,
E se ne sbuca, dopo il tiro a segno,
“Ha sbagliato!”,
Certo che ha sbagliato,
L’Uomo Nero
Della miseria nera,
Del lavoro nero, e da Milano,
Per l’elemosina di un’attenuante
Scrivono grande: NEGRO,
Scartato da un caporale,
Sputato da un povero cristo locale,
Picchiato dai suoi padroni,
Braccato dai loro cani,
Che invidia i vostri cani,
Che invidia la galera
(Un buon posto per impiccarsi)
Che piscia coi cani,
Che azzanna i cani senza padrone,
Che vive tra un No e un No,
Tra un Comune commissariato per mafia
E un Centro di Ultima Accoglienza,
E quando muore, una colletta
Dei suoi fratelli a un euro all’ora
Lo rimanda oltre il mare, oltre il deserto
Alla sua terra –“A quel paese!”
Meditate che questo è stato,
Che questo è ora,
Che Stato è questo,
Rileggete i vostri saggetti sul Problema
Voi che adottate a distanza
Di sicurezza, in Congo, in Guatemala,
E scrivete al calduccio, né di qua né di là,
Nè bontà, roba da Caritas, nè
Brutalità, roba da affari interni,
Tiepidi, come una berretta da notte,
E distogliete gli occhi da questa
Che non è una donna
Da questo che non è un uomo
Che non ha una donna
E i figli, se ha figli, sono distanti,
E pregate di nuovo che i vostri nati
Non torcano il viso da voi.

Conversazione con Adriano Sofri: Considerate di nuovo se questo è un uomo

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