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Vangelo del giorno
Sabato 23 Novembre 2024

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

(Lc. 20,27-40) 

Bibbia – CEI 2008
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Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Attualità

Cari fratelli e sorelle,la Quaresima, che ci conduce alla celebrazione della Santa Pasqua, è per la Chiesa un tempo liturgico assai prezioso e importante, in vista del quale sono lieto di rivolgere una parola specifica perché sia vissuto con il dovuto impegno. Mentre guarda all’incontro definitivo con il suo Sposo nella Pasqua eterna, la Comunità ecclesiale, assidua nella preghiera e nella carità operosa, intensifica il suo cammino di purificazione nello spirito, per attingere con maggiore abbondanza al Mistero della redenzione la vita nuova in Cristo Signore (cfr Prefazio I di Quaresima).

1. Questa stessa vita ci è già stata trasmessa nel giorno del nostro Battesimo, quando, “divenuti partecipi della morte e risurrezione del Cristo”, è iniziata per noi “l’avventura gioiosa ed esaltante del discepolo” (Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 10 gennaio 2010). San Paolo, nelle sue Lettere, insiste ripetutamente sulla singolare comunione con il Figlio di Dio realizzata in questo lavacro. Il fatto che nella maggioranza dei casi il Battesimo si riceva da bambini mette in evidenza che si tratta di un dono di Dio: nessuno merita la vita eterna con le proprie forze. La misericordia di Dio, che cancella il peccato e permette di vivere nella propria esistenza “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5), viene comunicata all’uomo gratuitamente.

L’Apostolo delle genti, nella Lettera ai Filippesi, esprime il senso della trasformazione che si attua con la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, indicandone la meta: che “io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,10-11). Il Battesimo, quindi, non è un rito del passato, ma l’incontro con Cristo che informa tutta l’esistenza del battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione sincera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere la statura adulta del Cristo.

Un nesso particolare lega il Battesimo alla Quaresima come momento favorevole per sperimentare la Grazia che salva. I Padri del Concilio Vaticano II hanno richiamato tutti i Pastori della Chiesa ad utilizzare “più abbondantemente gli elementi battesimali propri della liturgia quaresimale” (Cost. Sacrosanctum Concilium, 109). Da sempre, infatti, la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla celebrazione del Battesimo: in questo Sacramento si realizza quel grande mistero per cui l’uomo muore al peccato, è fatto partecipe della vita nuova in Cristo Risorto e riceve lo stesso Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr Rm 8,11). Questo dono gratuito deve essere sempre ravvivato in ciascuno di noi e la Quaresima ci offre un percorso analogo al catecumenato, che per i cristiani della Chiesa antica, come pure per i catecumeni d’oggi, è una scuola insostituibile di fede e di vita cristiana: davvero essi vivono il Battesimo come un atto decisivo per tutta la loro esistenza.

2. Per intraprendere seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci a celebrare la Risurrezione del Signore – la festa più gioiosa e solenne di tutto l’Anno liturgico – che cosa può esserci di più adatto che lasciarci condurre dalla Parola di Dio? Per questo la Chiesa, nei testi evangelici delle domeniche di Quaresima, ci guida ad un incontro particolarmente intenso con il Signore, facendoci ripercorrere le tappe del cammino dell’iniziazione cristiana: per i catecumeni, nella prospettiva di ricevere il Sacramento della rinascita, per chi è battezzato, in vista di nuovi e decisivi passi nella sequela di Cristo e nel dono più pieno a Lui.

La prima domenica dell’itinerario quaresimale evidenzia la nostra condizione dell’uomo su questa terra. Il combattimento vittorioso contro le tentazioni, che dà inizio alla missione di Gesù, è un invito a prendere consapevolezza della propria fragilità per accogliere la Grazia che libera dal peccato e infonde nuova forza in Cristo, via, verità e vita (cfr Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). E’ un deciso richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, una lotta “contro i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef 6,12), nel quale il diavolo è all’opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signore: Cristo ne esce vittorioso, per aprire anche il nostro cuore alla speranza e guidarci a vincere le seduzioni del male.

Il Vangelo della Trasfigurazione del Signore pone davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo, che anticipa la risurrezione e che annuncia la divinizzazione dell’uomo. La comunità cristiana prende coscienza di essere condotta, come gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, “in disparte, su un alto monte” (Mt 17,1), per accogliere nuovamente in Cristo, quali figli nel Figlio, il dono della Grazia di Dio: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (v. 5). E’ l’invito a prendere le distanze dal rumore del quotidiano per immergersi nella presenza di Dio: Egli vuole trasmetterci, ogni giorno, una Parola che penetra nelle profondità del nostro spirito, dove discerne il bene e il male (cfr Eb 4,12) e rafforza la volontà di seguire il Signore.

La domanda di Gesù alla Samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4,7), che viene proposta nella liturgia della terza domenica, esprime la passione di Dio per ogni uomo e vuole suscitare nel nostro cuore il desiderio del dono dell’ “acqua che zampilla per la vita eterna” (v. 14): è il dono dello Spirito Santo, che fa dei cristiani “veri adoratori” in grado di pregare il Padre “in spirito e verità” (v. 23). Solo quest’acqua può estinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo quest’acqua, donataci dal Figlio, irriga i deserti dell’anima inquieta e insoddisfatta, “finché non riposa in Dio”, secondo le celebri parole di sant’Agostino.

La “domenica del cieco nato” presenta Cristo come luce del mondo. Il Vangelo interpella ciascuno di noi: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. “Credo, Signore!” (Gv 9,35.38), afferma con gioia il cieco nato, facendosi voce di ogni credente. Il miracolo della guarigione è il segno che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo interiore, perché la nostra fede diventi sempre più profonda e possiamo riconoscere in Lui l’unico nostro Salvatore. Egli illumina tutte le oscurità della vita e porta l’uomo a vivere da “figlio della luce”.

Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezione di Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza: “Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?” (Gv 11,25-26). Per la comunità cristiana è il momento di riporre con sincerità, insieme a Marta, tutta la speranza in Gesù di Nazareth: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (v. 27). La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risurrezione dei morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomo per la risurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia. Privo della luce della fede l’universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza.

Il percorso quaresimale trova il suo compimento nel Triduo Pasquale, particolarmente nella Grande Veglia nella Notte Santa: rinnovando le promesse battesimali, riaffermiamo che Cristo è il Signore della nostra vita, quella vita che Dio ci ha comunicato quando siamo rinati “dall’acqua e dallo Spirito Santo”, e riconfermiamo il nostro fermo impegno di corrispondere all’azione della Grazia per essere suoi discepoli.

3. Il nostro immergerci nella morte e risurrezione di Cristo attraverso il Sacramento del Battesimo, ci spinge ogni giorno a liberare il nostro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la “terra”, che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e aperti a Dio e al prossimo. In Cristo, Dio si è rivelato come Amore (cfr 1Gv 4,7-10). La Croce di Cristo, la “parola della Croce” manifesta la potenza salvifica di Dio (cfr 1Cor 1,18), che si dona per rialzare l’uomo e portargli la salvezza: amore nella sua forma più radicale (cfr Enc. Deus caritas est, 12). Attraverso le pratiche tradizionali del digiuno, dell’elemosina e della preghiera, espressioni dell’impegno di conversione, la Quaresima educa a vivere in modo sempre più radicale l’amore di Cristo. Il digiuno, che può avere diverse motivazioni, acquista per il cristiano un significato profondamente religioso: rendendo più povera la nostra mensa impariamo a superare l’egoismo per vivere nella logica del dono e dell’amore; sopportando la privazione di qualche cosa – e non solo di superfluo – impariamo a distogliere lo sguardo dal nostro “io”, per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere Dio nei volti di tanti nostri fratelli. Per il cristiano il digiuno non ha nulla di intimistico, ma apre maggiormente a Dio e alle necessità degli uomini, e fa sì che l’amore per Dio sia anche amore per il prossimo (cfr Mc 12,31).

Nel nostro cammino ci troviamo di fronte anche alla tentazione dell’avere, dell’avidità di denaro, che insidia il primato di Dio nella nostra vita. La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione e morte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale, richiama alla pratica dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione. L’idolatria dei beni, invece, non solo allontana dall’altro, ma spoglia l’uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che promette, perché colloca le cose materiali al posto di Dio, unica fonte della vita. Come comprendere la bontà paterna di Dio se il cuore è pieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi assicurare il futuro? La tentazione è quella di pensare, come il ricco della parabola: “Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni…”. Conosciamo il giudizio del Signore: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita…” (Lc 12,19-20). La pratica dell’elemosina è un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.

In tutto il periodo quaresimale, la Chiesa ci offre con particolare abbondanza la Parola di Dio. Meditandola ed interiorizzandola per viverla quotidianamente, impariamo una forma preziosa e insostituibile di preghiera, perché l’ascolto attento di Dio, che continua a parlare al nostro cuore, alimenta il cammino di fede che abbiamo iniziato nel giorno del Battesimo. La preghiera ci permette anche di acquisire una nuova concezione del tempo: senza la prospettiva dell’eternità e della trascendenza, infatti, esso scandisce semplicemente i nostri passi verso un orizzonte che non ha futuro. Nella preghiera troviamo, invece, tempo per Dio, per conoscere che “le sue parole non passeranno” (cfr Mc 13,31), per entrare in quell’intima comunione con Lui “che nessuno potrà toglierci” (cfr Gv 16,22) e che ci apre alla speranza che non delude, alla vita eterna.

In sintesi, l’itinerario quaresimale, nel quale siamo invitati a contemplare il Mistero della Croce, è “farsi conformi alla morte di Cristo” (Fil 3,10), per attuare una conversione profonda della nostra vita: lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito Santo, come san Paolo sulla via di Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio; liberarci dal nostro egoismo, superando l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo. Il periodo quaresimale è momento favorevole per riconoscere la nostra debolezza, accogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice del Sacramento della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo.

Cari fratelli e sorelle, mediante l’incontro personale col nostro Redentore e attraverso il digiuno, l’elemosina e la preghiera, il cammino di conversione verso la Pasqua ci conduce a riscoprire il nostro Battesimo. Rinnoviamo in questa Quaresima l’accoglienza della Grazia che Dio ci ha donato in quel momento, perché illumini e guidi tutte le nostre azioni. Quanto il Sacramento significa e realizza, siamo chiamati a viverlo ogni giorno in una sequela di Cristo sempre più generosa e autentica. In questo nostro itinerario, ci affidiamo alla Vergine Maria, che ha generato il Verbo di Dio nella fede e nella carne, per immergerci come Lei nella morte e risurrezione del suo Figlio Gesù ed avere la vita eterna.

                                                                                                                                                                                                                       BENEDICTUS PP. XVI

Il 23 Luglio del 2010 la presentazione alla comunità di Castelbuono del nuovo organo a canne della Parrocchia Maria Assunta .  All’evento la presenza di Mons. Marco Frisina.   In quell’occasione l’abbiamo solo ammirato  nella sua fattura. 

 Il prossimo 19 Febbraio inaugurazione ufficiale con un concerto del M.stro Diego  Cannizzaro.

DIEGO CANNIZZARO ha conseguito con la lode il Diploma di Organo e Composizione Organistica presso il Conservatorio di Perugia, il Diploma di Pianoforte presso il Conservatorio di Palermo, la Laurea in Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Palermo ed il Dottorato di Ricerca in Storia ed Analisi delle Culture Musicali presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.

 Attivo come organista, pianista e clavicembalista, è stato invitato in diverse rassegne musicali in tutta Europa e in U.S.A.

E’ direttore dell’ufficio “Musica per la liturgia” della Diocesi di Cefalù, è organista titolare della cattedrale di Cefalù.

E’ ispettore onorario per gli organi storici dell’Assessorato ai BB.CC.AA. della Regione Siciliana e membro della Consulta per i Beni Culturali della Diocesi di Cefalù di cui ha curato il censimento degli organi; ha pubblicato anche diversi saggi.

Insegna Organo,Composizione ed Improvvisazione Organistica presso l’Istituto di Alta Formazione Musicale “ V. Bellini” di Caltanissetta.

E’  consulente organologico dell’Università di Palermo, ed  è docente invitato presso il Dipartimento di Musica Antica del Conservatorio Rimski-Korsakov di San Pietroburgo (Russia ).

Ha inciso per  “ La Bottega Discantica “, “Bongiovanni” e “Tactus” .

E’ presidente del centro studi organari  “Auditorium pacis” con sede in Castelbuono.

 

PROGRAMMA DEL CONCERTO:  19 Febbraio 2011, ore 19,00

Johan Sebastian Bach ( 1685-1750) : Toccata in Fa maggiore BWV 540.

Antonio Soler ( 1729-1783 ): 16 versos para ” Te Deum”.

Anonimo Italiano del XIX secolo: Sonata del Sig. Mozart.

Luigi Cherubini ( 1760-1842 ): Sonata per l’organo a cilindro.

Johan Sebastian Bach ( 1685-1750) : Toccata e fuga in Re minore BWV 565.

 

NOTIZIE SULL’ORGANO:

E’ stato realizzato dai fratelli Cimino di Agrigento con grande professionalità  e competenza.

Scheda tecnica:

Azionamento  
elettrico-computerizzato a sistema variabile
Tipo somieri  
a vento diretto con valvole elettro-pneumatiche
  Consolle a finestra  
due manuali di 61 tasti Di/Do
Pedaliera BDO parallela di 30 pedali Do/Fa
n. 22 Tiranti per comando registri ed accopp.
n. 3 selettori T1-T2-T3 ( Ped)
n. 2 pistoncini per Fiss. ed Az.
n. 2 pistoncini e 2 Pedaletti a pistone per sequenz. +/- 
Totale canne:   n. 402 ( 329 labiali di metallo, 24 labiali di legno, 49 ad ancia battente )

Composizione fonica

Famiglia Principale   Famiglia Bordone/Flauti   Famiglia Ance
Principale 8′
 
Bordone 16′
 
Cromorno 8′
Ottava
 
Bordone 8′
 
Cromorno 4′
XII
 
Flauto 4′
 
  
XV
 
Flauto XII
   
XIX
  Flautino 2    
XXII   Decimino 1.3/5′    
Ripieno 2F. 1.1/3′
     

 

Acordatura
La 438Hz con temperamento equabile alla temperatura di 18°c.
Pietro mi ami tu ?
Per ricordare il 70° anniversario di Taizé e il 5° anniversario della morte di Frère Roger, sul sito internet di Taizé, a partire dalla Pasqua viene pubblicato ogni mese un brano di un’intervista con Frère Roger.
In questa intervista, partendo dal colloquio di Gesù con Pietro riportato nel vangelo di Giovanni al capitolo 21:

 

:…«Simone di Giovanni, mi ami più di questi?» Egli rispose: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene».Gesù gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, una seconda volta: «Simone di Giovanni, mi ami?» Egli rispose: «Sì, Signore; tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pastura le mie pecore». Gli disse la terza volta:«Simone di Giovanni, mi vuoi bene?» Pietro fu rattristato che egli avesse detto la terza volta: «Mi vuoi bene?» E gli rispose: «Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità ti dico che quand’eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti». Disse questo per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio. E, dopo aver parlato così, gli disse: «Seguimi»….
Frère Roger dice che “ … E’ bene ricordarlo a noi stessi, che noi l’amiamo, forse non come vorremmo, e così. È come se tutta la vita di fede in Dio, nel Cristo fosse immersa in un’umile fiducia… Noi siamo presenti, chiamati da Cristo non per essere in cima, no, ma per essere dei poveri insieme agli altri, dei poveri di Cristo”….
(Di seguito, cliccando sulle varie icone, puoi vedere vari brani di interviste di Frère Roger )

 

Titolo video Quando un essere umano viene compreso La benevolenza costruisce in voi Nato da una donnaLa bellezza di una chiamataL'innocenza feritaLaviolenza che è in ognunoLa bellezza d’ascoltare Liberi all’immagine di Dio Tutti siamo alla ricercaTitolo video Non Temere
 Sono nato in Veneto, a Pieve di Cadore, provincia di Belluno, nelle Dolomiti.  La mia fami­glia si è trasferita a Torino negli an­ni Cinquanta.   La nostra prima casa fu una delle baracche del cantiere dove lavorava mio papà, uno degli operai impegnati nella costruzione del Politecnico. La fatica del lasciare la propria terra, del trasferirsi in una grande città – dove l’accoglienza e la generosità di alcuni non facevano dimenticare le chiusure e i rifiuti di altri –mi ha segnato nel profondo, ma mi ha anche aiutato a mettermi nei panni degli altri, a capire ad esempio le storie di quei ragazzi

che, qualche anno dopo, sarebbero arrivati a Torino dalle regioni del Sud. 

  Spaesati. Sui portoni di molte case una scritta terribile: «Non si affittano case ai meridionali». Molti di quei ragazzi passavano la notte sui vagoni parcheggiati nella stazione di Porta Nuova, affidando al domani la speranza di un cambiamento. Una storia che si ripete oggi con altri volti, ma con le stesse speranze, la stessa ricerca di dignità. Ho avvicinato quei ragazzi, li ho conosciuti e mi sono fatto «riconoscere». Ho condiviso le loro esperienze, ho sentito le loro speranze, i loro smarrimenti. Ad aprirmi gli occhi era stata anche una persona più anziana, un medico tormentato dai sensi di colpa per un intervento sbagliato, che aveva eletto a suo domicilio una panchina. Riuscii ad avvicinarlo vincendo la sua diffidenza, il carattere schivo e a volte burbero, scoprendo la sua umanità, il suo gran cuore. «Non preoccuparti per me – mi disse un giorno – occupati di loro», e m’indicò un gruppo di ragazzi che faceva uso di anfetamine, in quegli anni le droghe più diffuse prima del dilagare dell’eroina.

 

Ho incontrato la strada grazie alla strada. Strada come luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e di domande in continua trasformazione. Strada come luogo di crescita e di consapevolezza: dove imparare a misurarsi con l’incertezza e la complessità, a non selezionare i compagni di viaggio, a costruire speranza e corresponsabilità. Cercai degli amici con cui condividere il mio impegno. A 45 anni di di­stanza posso dire che il Gruppo Abele è nato così: da un incontro maturato sulla strada nel tentativo di rispondere a bisogni che richiedevano nuovi approcci, linguaggi, strumenti. Ma non basta interrogare la strada. Una volta posta la domanda è necessario anche ascoltare – con libertà e disponibilità a mettere in pratica quanto ascoltato – la risposta. Anche perché la strada non consegna come risposta ciò che uno vuol sentirsi dire. Il linguaggio della strada è scomodo, controcorrente, anche a rischio di confusione, di fraintendimento. Quanta fatica è necessaria per imparare dalla strada il linguaggio della fedeltà e della libertà. Anche all’interno della stessa comunità parrocchiale si rischia – se si ascolta con serietà la strada – di non essere capiti… Le domande poste alla strada sono come la manna che il popolo d’Israele incontra nel deserto. Una manna che permette di sopravvivere e procedere, ma che non può essere tenuta da parte, immagazzinata. Bisogna consu­marla tutta. Domani se ne riceverà dell’altra, che basterà per un altro giorno di cammino. Fermare le domande è interrompere il cammino. È cedere alla tentazione di porre in magazzino quanto acquisito e illudersi di poter vivere di rendita. È routine, una tentazione a cui siamo tutti soggetti, anche nelle nostre parrocchie. Ma è così che molte insegne ingialliscono, che molti servizi invecchiano nella routine o restano uguali nella frenesia di un cambiamento solo superficiale. Pigrizia, frenesia senza direzione: sono tutti modi per scappare dall’oggi, per fuggire dalla strada. Non c’è casa senza strada e non c’è strada senza casa. Se mancano le case o almeno una casa, non c’è bisogno di strada; ma nessuna casa può «mancare» di strade: significa negare alla casa e alle case la possi­bilità di relazioni e di collegamento con il mondo. Strada e casa sono così strettamente legate l’una all’altra. Al punto che l’una è premessa dell’altra e che il cambiare dell’una modifica l’altra. Intrecciare «strada», «case» e «oggi» è quindi premessa, conseguenza, metodo e contenuto di ogni rinnovamento parrocchiale. E significa confrontarsi con concreti e precisi «nodi»: imparare ad abitare «anche» fuori casa (senza paura di attraversare e percorrere strade impegnative e nuove); non aver paura della strada: viaggiare per non restare chiusi nei propri confini e orizzonti; ripensare le categorie dell’educare, dell’essere casa, famiglia, giovani…; costruire comunità e comunità di «famiglie vicine»; promuovere vita culturale e tensione per il «bello» per contrastare degrado, ingiustizie e solitudine; fare della celebrazione liturgica il momento di sintesi, di nutrimento e di verità tra il dire e il testimoniare giustizia e solidarietà; rispondere alle ingiustizie (mute e gridate) che vengono dalla strada. «Strada», «casa» e «oggi» sono, tra l’altro (così ci dicono gli studiosi della parola di Dio) termini biblici di inesauribile ricchezza.

 

Tenerli insieme è sfida e aiuto per non restare chiusi nella propria casa e/o nella propria parrocchia, non costruire case, chiese, cortili e/o oratori lontani dalla strada, dalla fatica ma anche dalla bellezza dell’abitarla, non illudersi di crescere e maturare «solo » sulla strada o solo nel chiuso di qualche struttura e/o istituzione; non fare dell’educare un semplice manuale di comportamento che ingigantisce la forma e calpesta la sostanza; un manuale che insegna a non trasgredire i precetti ma non a vivere le responsabilità. Se l’essere «tra le case» continua il suo dinamico confronto con la strada, le nostre parrocchie possono sprigionare la loro potenziale vitalità e rivelare tutta la loro forza e attualità! Mai come oggi le «case», le persone e le famiglie hanno fame e sete di luoghi in grado di consegnare possibilità di senso e autentica vita comunitaria. Di speranza.

 

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