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Vangelo del giorno
Sabato 23 Novembre 2024

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

(Lc. 20,27-40) 

Bibbia – CEI 2008
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Per citazione
(es. Mt 28,1-20):
Per parola:

Attualità

( di Gianni Notari – Direttore dell’Istituto “Pedro Arrupe”. )

Alienazione, massificazione, individualismo, precarietà esistenziale e lavorativa.
Sono alcuni dei tratti caratterizzanti la condizione di tante persone.
Si vive spesso senza un progetto, navigando a vista, schiacciati sul qui e ora. Delusi, insoddisfatti si cerca conforto nell’effimero di cui la
società ci circonda, ossessionati dall’aspetto fisico e incapaci di accettare l’età che passa. Si è, però, giovani-vecchi, ovvero appesantiti dall’incapacità di sognare, di spiccare il volo immaginando qualche cosa di diverso e di investirsi per realizzarlo.

Si  resta schiacciati su questa realtà cercando di rimanere giovani  esteriormente, fino a riempire di plastica il nostro corpo e divenire  sempre più finti e patetici. Al contempo si è sempre più incapaci di  guardarsi dentro, forse perché quello che c’è non piace.
Ci  si sente tristi, spesso vittime del male oscuro della depressione. In  balia di eventi che travolgono e di cui non si conoscono le regole o il  fine. Ci si sente soli, perché le traiettorie frenetiche delle vite  individuali faticano a istaurare relazioni significative. La tragicità di questa condizione umana va rintracciata, forse, proprio nella  superficialità affettiva e relazionale che porta spesso a chiudersi  all’altro, a cercare il proprio soddisfacimento personale, incuranti  delle conseguenze che le proprie azioni possono avere sugli altri, sul bene comune, sulle future generazioni.
Si  è sostituita la fiducia con la diffidenza; i legami con l’isolamento;  la lucidità e il coraggio della ragione con il conformismo e la  sonnolenza intellettuale; la vitalità della coscienza con l’adattamento e  l’indifferenza.
Troppo  frequentemente si scelgono le compagnie e le relazioni sulla base  dell’utile. E parimenti si è scelti non per quello che si è ma per  quello che si può dare. Sono strumentali i sorrisi che ci si rivolge e  le persone sono spesso usate e buttate via quando non servono più.
Si  è presi in considerazione per come si appare, per ciò che si ha. Non  importa come si è fatto ad averlo. Non importano le doti etiche, la  correttezza, la professionalità. In questo mondo alla rovescia vale di  più camminare borderline rispetto alla legalità. L’importante è “riuscire”, “ottenere”. Non ci si domanda cosa si sta sacrificando.
Questa  condizione è esito di una scelta, non ci si può assolvere asserendo di  esserne vittime. Abbiamo scelto la logica mercantile per cui la nostra  capacità di acquisto e di consumo (ma anche di essere “acquistati” e  “consumati”) è la misura del nostro valore sociale. Abbiamo scelto di sottrarre centralità alla “persona” lasciandoci sopraffare dal mondo  degli oggetti. Abbiamo lasciato, invece, che ciò da cui potrebbe  derivare un profondo appagamento dell’animo fosse etichettato come vano,  inutile, antico.
I  poveri sono, in quest’ottica, emarginati perché hanno fallito. Loro sì,  vere vittime di una folla di individui che li ha calpestati e relegati  ai margini. Pensiamo alla sorte dei migranti e dei tanti profughi che  chiedono di entrare nel nostro Paese. Di loro non ci si cura. Sono rimossi dall’orizzonte limitato e contingente delle coscienze.
Infastidiscono con la loro presenza. Per loro solo una breve  commiserazione per l’eventuale notizia passata fugacemente in  televisione. Poi subito si torna alla propria quotidianità, senza  fermarsi a riflettere, senza chiedersi concretamente come agire per cambiare la situazione. Si “osservano” con distacco anche i misfatti più  gravi, come vaccinati ormai nei confronti del peggio.
La  superficialità di analisi dinanzi a tutto questo è forse un meccanismo di difesa per fuggire dalle nostre responsabilità individuali e non  vedere il “vuoto” in cui stiamo precipitando. Così ci si adatta a  inserirsi nei meccanismi sempre più patologici del vivere sociale per attraversare «ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana». Si sopravvive piuttosto che vivere. Come dice H. Arendt,  «nel processo di miglioramento del mondo, tutti abbiamo dimenticato cosa significa vivere».
È  su questa frase che potremmo riflettere in questa Pasqua, alla luce del  sacrificio di vita e riconciliazione che celebriamo tutti insieme,  perché stiamo smarrendo il senso ultimo della vita, che solo può dare  linfa ad una resistenza etica alla morte della gratuità.
Cosa  ci resta della nostra vita? Come diamo concretezza a quel Vangelo che  contempliamo in questi giorni. Quale è il messaggio che vivifica i  nostri cuori?
Potrebbe  essere liberante ridare valore alle “radici”, a quel “giardino” dove è  accaduto un evento sconvolgente: la vittoria sulla morte. E là, accanto  al Risorto e da Lui “chiamati”, si potrebbe scoprire che la nostra vita è  dotata di senso. E che alla sua origine non sta il caso, ma un atto che le dà significato e valore. E là si potrebbe riscoprire che abbiamo una  dignità che nessuno può umiliare e calpestare.
La  Parola del Risorto ha la forma di un appello. La luce di quella Parola  chiama alla responsabilità; incoraggia a vivere il proprio tempo “a  testa alta” senza essere schiavi di quella mediocrità che annulla la  prospettiva di un’umanità più armoniosa.
Sapersi  “dentro” una vita chiamata alla luce riempie il cuore, ci si desta dalla sonnolenza e si libera la coscienza dall’assopimento. Solo allora si impara a “distinguere” e non ci si lascia confondere da chi ci vuole  schiavi della morte.
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Sarà una veglia di preghiera con un collegamento in video con Benedetto XVI, ad aprire il 30 aprile al Circo Massimo, il  programma degli eventi previsti per la beatificazione del Servo di Dio, Giovanni Paolo II, che si terrà il 1 maggio in Vaticano, e alla quale sono attesi oltre 300 mila pellegrini.
La veglia, presieduta dal card. Agostino Vallini, inizierà alle 20 per poi concludersi alle 22.30.
Il 1 maggio, in Piazza San Pietro, si terrà la messa di beatificazione presieduta da Benedetto XVI.
A seguire, in basilica, davanti l’altare della Confessione sarà possibile venerare le spoglie di Giovanni Paolo II fino ad esaurimento del flusso dei fedeli.
Per l’occasione, qualche piccola clip video in ricordo di alcuni momenti di Giovanni Paolo II
Cliccando sul PPT  accanto,  un invito alla conoscenza e alla riflessione sulla condizione femminile in Afganistan ma estensibile a tutti quei luoghi, prossimi o  lontani , dove la donna è schiavizzata e umiliata dai tanti “ burqa” che le  vengono imposti !!!

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ODISSEA DALLA POLITICA

Mentre parlano solo le armi, si resta senza parole. Ammutoliti, sconcertati. Anche noi di Pax Christi, come tante altre persone di buona volontà. Il regime di Gheddafi ha sempre mostrato il suo volto tirannico. Pax Christi, con altri, ha denunciando le connivenze di chi, Italia in testa, gli forniva una quantità enormi di armi senza dire nulla, anche dopo la sua visita in Italia “sui diritti umani violati in Libia, sulla tragica sorte delle vittime dei respingimenti, su chi muore nel deserto o nelle prigioni libiche.

Il dio interesse è un dio assoluto, totalitario, a cui tutto va immolato. Anche a costo di imprigionare innocenti, torturarli, privarli di ogni diritto, purché accada lontano da qui. In Libia.” (Pax Christi 2 settembre 2010).

Il Colonnello era già in guerra con la sua gente anche quando era nostro alleato e amico!  Non possiamo tacere la triste verità di un’operazione militare che, per quanto legittimata dal voto di una incerta e divisa comunità internazionale, porterà ulteriore dolore in un’area così delicata ed esplosiva, piena di incognite ma anche di speranze. Le operazioni militari contro la Libia non ci avvicinano all’alba, come si dice, ma costituiscono un’uscita dalla razionalità, un’ “odissea” perchè viaggio dalla meta incerta e dalle tappe contraddittorie a causa di una debolezza della politica.

Di fronte a questi fatti, vogliamo proporre cinque passi di speranza e uno sguardo di fede.

1) Constatiamo l’assenza della politica e la fretta della guerra. E’ evidente a tutti che non si sono messe in opera tutte le misure diplomatiche, non sono state chiamate in azione tutte le possibili forze di interposizione. L’opinione pubblica deve esserne consapevole e deve chiedere un cambiamento della gestione della politica internazionale.

2) Si avverte la mancanza di una polizia internazionale che garantisca il Diritto dei popoli alla autodeterminazione.

3) Non vogliamo arrenderci alla logica delle armi. Non possiamo accettare che i conflitti diventino guerre. Teniamo desto il dibattito a proposito delle azioni militari, chiediamo che esse siano il più possibile limitate e siano accompagnate da seri impegni di mediazione. Perché si sceglie sempre e solo la strada della guerra?  Ce lo hanno chiesto più volte in questi anni i tanti amici che abbiamo in Bosnia, in Serbia, in Kosovo, in Iraq.

5) Come Pax Christi continuiamo con rinnovata consapevolezza la campagna per il disarmo contro la produzione costosissima di cacciabombardieri F-35. Inoltre invitiamo tutti a mobilitarsi per la difesa della attuale legge sul commercio delle armi, ricordiamo anche le parole accorate di d.Tonino Bello: “dovremmo protenderci nel Mediterraneo non come “arco di guerra” ma come “arca di pace”.

Giovanni Paolo II per molti anni ha parlato dei fenomeni bellici contemporanei come “avventura senza ritorno”, “ spirale di lutto e di violenza”, “abisso del male”, “suicidio dell’umanità”, “crimine”, “tragedia umana e catastrofe religiosa”. Per lui “le esigenze dell’umanità ci chiedono di andare risolutamente verso l’assoluta proscrizione della guerra e di coltivare la pace come bene supremo, al quale tutti i programmi e tutte le strategie devono essere subordinati” (12 gennaio 1991).

In questa prospettiva Pax Cristi ricorda ai suoi aderenti che il credente riconosce nei mali collettivi, o strutture di peccato, quel mistero dell’iniquità che sfugge all’atto dell’intelligenza e tuttavia è osservabile nei suoi effetti storici. Nella fede comprendiamo che di questi mali sono complici anche l’acquiescenza dei buoni, la pigrizia di massa, il rifiuto di pensare. Chi è discepolo del Vangelo non smette mai di cercare di comprendere quali sono state le complicità, le omissioni, le colpe. E allo stesso tempo con ogni mezzo dell’azione culturale tende a mettere a fuoco la verità su Dio e sull’uomo.

Sua Ecc.za Mons. Giovanni Giudici, presidente di Pax Christi Italia.

Pavia, 21 marzo 2011

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