Tirisan
E con questo popolo che Colui che è senza Peccato – unico e vero Sacerdote – cammina …e continua a camminare … per riportare l’uomo nella comunione trinitaria attraverso il suo completo “ olocausto”.
Dinanzi a una “ certa gerarchia” che con scelte meditate, che “fanno pensare un passo indietro rispetto al Concilio Vaticano II, che era stato un aprire le braccia all’intera comunità cristiana e oltre, a quel più vasto «popolo di Dio» che era e non può che essere costituito che dall’umanità intera” [ Rossana Rossanda – il Manifesto 16/01/2008 – primato che ritorna] la lettera dell’arcivescovo di Milano DIONIGI TETTAMANZI che ci mostra il volto di una Chiesa Madre di Misericordia. Nella “Lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione” dal titolo Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, entra, con delicatezza , si mette in ascolto del loro dolore e della loro sofferenza.«Per la Chiesa e per me Vescovo, siete sorelle e fratelli amati e desiderati. In voi ci sono domande e sofferenze che vi appaiono spesso trascurate o ignorate dalla Chiesa». Cercando di entrare nella terribile esperienza di un amore che “ si rompe” : «Immagino che prima di questa decisione abbiate sperimentato giorni di fatica a vivere insieme – scrive il Cardinale -, nervosismi, impazienze e insofferenza, sfiducia reciproca, a volte mancanza di trasparenza, senso di tradimento, delusione per una persona che si è rivelata diversa da come la si era conosciuta all’inizio. Queste esperienze, quotidiane e ripetute, finiscono con il rendere la casa non più luogo di affetti e gioia, ma una pesante gabbia che sembra togliere la pace del cuore». Poi dice con chiarezza: «La Chiesa sa che in certi casi non solo è lecito, ma addirittura inevitabile prendere la decisione di una separazione: per difendere la dignità delle persone, evitare traumi più profondi, custodire la grandezza del matrimonio, che non può trasformarsi in un’insostenibile trafila di reciproche asprezze». Dalla lettera traspare la forte apprensione per i figli delle coppie che si frantumano: « Voglio raccomandare a tutti i genitori separati di non rendere la vita dei loro figli più difficile, privandoli della presenza e della giusta stima dell’altro genitore. I figli hanno bisogno, anche seguendo le recenti garanzie legislative, sia del papà sia della mamma e non di inutili ripicche, gelosie o durezze». E poi l’invito alla comunità all’accoglienza e alla misericordia: non è possbile che la chiesa abbia scomunicato i divorziati o messo alla porta gli sposi che si sono separti. Seguono poi le motivazioni per le quali c’è “ L’impossibilità di accedere alla comunione eucaristica per gli sposi che vivono stabilmente un secondo legame sponsale” ritenendo “comunque errato pensare che la norma regolante l’accesso alla comunione eucaristica significhi che i coniugi divorziati risposati siano esclusi da una vita di fede e di carità vissute all’interno della comunità ecclesiale “ Ma… nell’Eucaristia non dobbiamo forse contemplare l’Agnello di Dio che si carica di ogni peccato per rivestire il peccatore, disponibile alla conversione, dello splendore del perdono. Come negare l’efficacia di questa infinita azione di misericordia e conversione soprattutto al peccatore che ne ha più bisogno; non a caso proclamiamo “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo !!” Molto bello comunque l’invito: « Vi chiedo di partecipare con fede alla Messa, anche se non potete accostarvi alla comunione. Anche a voi è rivolta la chiamata alla novità di vita che ci è donata nello Spirito. Anche a vostra disposizione sono i molti mezzi della Grazia di Dio. Anche da voi la Chiesa attende una presenza attiva e una disponibilità a servire quanti hanno bisogno del vostro aiuto. E penso anzitutto al grande compito educativo che come genitori molti di voi sono chiamati a svolgere e alla cura di relazioni positive da realizzare con le famiglie di origine. Penso poi alla testimonianza semplice, se pur sofferta, di una vita cristiana fedele alla preghiera e alla carità. E ancora penso anche a come voi stessi, a partire dalla vostra esperienza, potrete essere di aiuto ad altri che attraversano situazioni simili alle vostre». Non bisogna mai cedere all’idea che la Chiesa, popolo di Dio, sia guidata da uomini…e lo Spirito che la conduce e suscita profeti a tempo opportuno. |
La TAC dell’Ospedale di Termini Imerese non ce l’ha più fatta … ormai è in fermo tecnico da molti giorni provocando gravissime carenze e disservizi ad un importante presidio Ospedaliero. |
Notevoli le difficoltà nella gestione di tutte quelle urgenze che necessitano di tale diagnostica :
· ricerca della disponibilità ad effettuare l’indagine in altri nosocomi,
· organizzazione del trasporto del paziente ( spesso difficoltosa per l’esiguo numero di ambulanze dedicate che, tra l’altro, devono anche soddisfare le altre emergenze come trasferimenti di quei pazienti con gravi eventi acuti non gestibili dal presidio ).
Importanti ripercussioni anche :
· su pazienti ricoverati in attesa della TAC per definizione e/o stadiazione di patologie neoplastiche;
· su pazienti neurologici acuti, rimandati al presidio di Termini per mancanza di posti letto dai nosocomi cittadini con l’indicazione ad un monitoraggio TAC, nella gestione dell’evoluzione dell’evento acuto;
e così via….
Questo è solo uno dei tanti problemi “ acuti” dell’Ospedale e, nel portarlo all’attenzione abbiamo evidenziato l’attentato che con questi disservizi si perpetua nei confronti del “ diritto alla salute” del malato, trascurando, appositamente, il dignitoso silenzio del personale costretto a convivere giorno dopo giorno con le enormi difficoltà che la perenne precarietà distribuisce.
Tutto il personale del presidio non chiede e non chiederà “ la luna” ( hostess, stuard, stanze con TV color, bellissimi giardini….) ma gli strumenti per lavorare con dignità nell’interesse del malato.
Che la classe politica, soprattutto quella locale, si svegli e si impegni per un dignitoso rilancio del presidio.
La speranza che sostiene gli operatori possa al più presto produrre dei segni tangibili di concreta attenzione.
Comunque, esiste già un piano dei finanziamenti e sono state determinate le tariffe: purtroppo, nonostante le infondate affermazioni degli amministratori, non sono previsti per i prossimi anni finanziamenti per la rete idrica del comune di Castelbuono. Ma il Sindaco ripone ancora speranze nella benevolenza dell’Assessore provinciale Loddo, (delle cui virtu’ leggiamo in questi giorni a proposito delle 120 assunzioni), dell’ATO e della società aspirante gestore, nei loro messaggi e nelle loro promesse, come se quelli di Acque Potabili Siciliane fossero dei benefattori e non una società che opera alla ricerca del profitto per i suoi azionisti.Il Sindaco ha affermato che se mancheranno le suddette garanzie sui finanziamenti, non consegnerà le reti: pensa davvero di aver tanto potere da influenzare le scelte di APS, che ha rinviato a chissà quando il rifacimento delle reti idriche in quasi tutti i comuni, non solo a Castelbuono.E, se anche ottenesse rassicurazioni sui finanziamenti e sulle tariffe, è sicuro che, consegnando le reti e gli impianti ad una grande concentrazione industriale e finanziaria, i cittadini per trent’anni saranno tutelati? E da chi, da lui? O dai numerosi membri della casta politica siciliana già pronti a beneficiare della situazione?Oggi sappiamo che gli emissari dell’ATO e dell’aspirante gestore APS girano per i comuni delle Madonie per incontrare gli amministratori in vista della consegna delle reti e degli impianti; sappiamo che alcuni Sindaci hanno rifiutato di riceverli, fino a quando non si farà piena luce sugli atti posti in essere dal Commissario straordinario dell’ATO nel 2005, e sappiamo, perchè lo ha detto durante l’incontro con noi, che il Sindaco di Castelbuono non è tra questi.Se la decisione sarà quella della consegna, le centinaia di cittadini che stanno firmando la dichiarazione di essere contrari saranno da noi chiamati a mobilitarsi e a far valere i diritti e le scelte di questo paese.Se invece, il Sindaco non godrà della benevolenza dei benefattori e deciderà di opporsi, chiederemo ugualmente ai cittadini la massima vigilanza, perché finora il suo atteggiamento non è stato imporontato a scelte decise e coerenti, ma soprattutto perchè l’acqua sia sempre un bene comune e non si sporchi.
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Molti cercano la comunione per paura della solitudine. Siccome non sanno più rimanere soli, sono spinti in mezzo agli uomini. Anche cristiani che non riescono a risolvere i loro problemi sperano di trovare aiuto dalla comunione con altri. Di solito, poi, sono delusi e rimproverano alla comunità ciò che è colpa loro. La comunità cristiana non è una casa di cura per lo spirito; chi, per sfuggire a se stesso, entra nella comunità, ne abusa per chiacchiere e distrazione, per quanto spirituale possa sembrare il carattere di queste chiacchiere e distrazione. In realtà egli non cerca affatto comunione, ma l’ebbrezza che possa fargli dimenticare per un momento la sua solitudine, e proprio così crea la solitudine mortale dell’uomo. Il risultato di simili tentativi di guarigione sono la disgregazione della Parola e di ogni reale esperienza e, infine, rassegnazione e morte spirituale.«Chi non sa rimanere solo tema la comunità». Infatti egli arrecherà solo danno a sé e alla comunità. Solo ti sei trovato di fronte a Dio quando ti ha chiamato, solo hai dovuto seguire la sua chiamata, solo hai dovuto prendere su di te la tua croce, lottare e pregare solo, e solo morrai e renderai conto a Dio. |
Non puoi sfuggire a te stesso; infatti è Dio che ti ha scelto. Se non vuoi restare solo, respingi la vocazione rivolta a te da Cristo e non partecipare alla comunione degli eletti. «Siamo tutti destinati a morire e nessuno potrà morire per l’altro, ma ognuno dovrà lottare personalmente per sé con la morte… e io non sarò con te, né tu con me» (Lutero).
Ma vale pure il contrario: «Chi non sa vivere nella comunità si guardi dal restare solo». Tu sei stato chiamato alla comunità, la vocazione non è stata rivolta a te solo; nella comunità degli eletti porti la tua croce, lotti e preghi con loro. Non sei solo nemmeno nella morte, e al giudizio universale sarai solamente un membro della grande comunità di Gesù Cristo. Se sdegni la comunione con i fratelli, rifiuti la chiamata di Gesù Cristo e la tua solitudine non può che portarti male. «Se devo morire non sono solo nella morte, se soffro essi (la comunità) soffrono con me» (Lutero). Riconosciamo che possiamo rimanere soli, soltanto se siamo inseriti nella comunità dei credenti, e solamente chi è solo può vivere nella comunità. Ambedue le cose vanno insieme. Solo nella comunità impariamo a vivere come si deve, e solo essendo soli impariamo a inserirci bene nella comunità. Una cosa non precede l’altra: ambedue incominciano insieme, cioè con la chiamata di Gesù Cristo. Ognuna delle due presa a sé ci mette di fronte a profondi abissi e gravi pericoli. Chi desidera comunione senza solitudine precipita nella vanità delle parole e dei sentimenti; chi cerca la solitudine senza la comunità perisce nell’abisso della vanità, dell’infatuazione di se stesso, della disperazione.
Chi non sa restare solo tema la comunità. Chi non è inserito nella comunità tema la solitudine.
Dietrich Bonhoeffer