Tirisan
Come anticipato nella lettera alla Diocesi ha ribadito che “ Ognuno deve stare al suo posto, senza invadere i compiti degli altri. …. Nella chiesa non c’è posto per liberi battitori o navigatori solitari. Si lavora in rete attorno al Vescovo principio di unità “.
Ma noi, piccolo resto della Chiesa di Cefalù, siamo desiderosi e preghiamo che con la sua vita il nostro vescovo, come Gesù, ci “mostri il volto del Padre.”
E con Fratel carlo Carreto (Adista n. 459-460-461 del 10-12-14 settembre 1975) vorremmo dire “ … Ci convochino i nostri vescovi sulla eucaristia. Ci convochino sul Vangelo, sul primato dei poveri, sulle beatitudini, sul servizio, sulla resurrezione del Signore! Non ci convochino sul dubbio che sia la terra a girare attorno al sole o ciò che è peggio per comunicarci che dobbiamo obbedire nella fede a cose opinabili che con la fede non hanno nulla a vedere. Insomma la comunione nella chiesa non è sulle idee dei singoli ma sulla fede”.
( Da un articolo di Bruno Forte sul Sole 24 ore del 05 Novembre 2009 )
Chi può sentirsi offeso dal crocifisso? |
Non il non credente pensoso, che sa come quel simbolo abbia un valore universale e spalanchi le braccia su tutti, per tutti, perché nessuno si senta escluso dal diritto alla vita e al rispetto della sua dignità.
Non il credente di un’altra religione, che si sente piuttosto minacciato da questo ostracismo dei simboli della fede, che come oggi colpisce i cristiani, potrà domani colpire persone di un altro credo.
La rimozione imposta del crocifisso dalle aule ferisce invece tutti nelle radici più profonde della convivenza civile, perché attenta al rispetto della coscienza di tanti e alla libertà religiosa, intesa positivamente come diritto ad esprimere la propria fede con l’universo simbolico che le appartiene.
La dignità della persona umana è stata definita come valore infinito proprio nel dibattito cristologico dei primi secoli dell’era cristiana; il principio solidarietà, che ne deriva, ha fatto la storia anche recente della liberazione degli oppressi e della cura per essi nel continente europeo; il valore della gratuità, come forza edificatrice della società a tutti i suoi livelli, ha trovato nel messaggio evangelico fonte e nutrimento. Non sarà certo un colpo di spugna a cancellare tutto questo: eppure, non è possibile non sentire in questa sentenza pronunciata in nome dei diritti dell’uomo una ferita inferta, una mancanza di sensibilità umana, culturale e spirituale.
L’universo dei simboli non si cancella impunemente, soprattutto quando essi rimandano alle sorgenti più profonde dell’identità dei singoli e dei popoli: chi pensasse di farlo in nome della “laicità”, dimostrerebbe invece soltanto un laicismo pregiudiziale, ideologico. Perché laicità significa etimologicamente ciò che fa riferimento al popolo (laòs), e – correttamente inteso – l’ispirarsi a questa idea vuol dire tutelare, servire e promuovere il bene comune, senza cedere a interessi di parte. In questo senso ha saputo essere laico e cristiano De Gasperi, e come lui altri grandi fondatori dell’Europa unita, da Adenauer a Schuman.
Un’altra idea di laicità, pensata contro qualcuno o a servizio di una minoranza ideologica, non ci renderà migliori, rischierà anzi di ferire al cuore il processo difficile e lento della costruzione della casa comune europea. La non condivisione trasversale espressa da parte della classe politica del nostro Paese alla sentenza – fatte salve pochissime eccezioni, non esenti da pregiudizi ideologici – è un segno importante: almeno questa volta, la voce di chi è delegato dal voto a rappresentare la coscienza comune ha dato un segnale credibile e significativo per tutti.
* Bruno Forte è arcivescovo di Chieti-Vasto
A Bersani « auguro successo, ma sarà la cosa 2, 3 o 4 di D’Alema. È un dramma quel che si profila nel Pd. L’intesa col centro è inevitabile …. un centrosinistra da prima Repubblica che è il vecchio disegno di D’Alema, non mi interessa culturalmente. Anche se è l’unica via per sconfiggere Berlusconi».
« In politica bisogna essere a tempo e non in anticipo, a 65 anni ho capito che non sono capace di fare politica. Il mio amico D’Alema sì, che è capace».
«Non vedo l’ora di tornarmene all’università».
Stefano è morto da poco e a Rebibbia si consuma il suicidio annunziato di Diana Blefari Melazzi, Br mai pentita ma sicuramente oggetto privilegiato di misericordia.
Cosa succede nelle nostre carceri ?
Già 61 suicidi, … molto più delle pene di morte eseguite negli stati dove vige tale atrocità.
E mentre in carcere si continua a morire per cause misteriose, come Stefano Cucchi o per malattia come Diana, i nostri sapienti politici speculano, glissano, scaricano e cercano di difendere l’indifendibile.
Noi speriamo che nelle carceri scoppi la misericordia, la comprensione e la voglia di recuperare nell’amore chi ha sbagliato.
Stefano,lo sconosciuto, adesso vive nel Web: icona di violenza e sopruso, e così Diana: debolezza scartata, reietta,dimenticata.